I ricchi e i partiti operai

Il problema non è che i dirigenti della sinistra siano ricchi, borghesi e provengano dalle élite. I dirigenti dei partiti politici difficilmente hanno avuto origini umili, operaie, proletarie, bracciantili. Per eccellere nella direzione politica è necessario avere studiato, frequentato ambienti ad alto tasso di intellettualità, avere ottime relazioni personali e familiari. Per dire, né mio nonno, che era stato contadino, immigrato e operaio, né mio padre che era stato operaio, né io, che sono nato e vissuto in borgata e nella mia vita ho fatto l’impiegato, avremmo mai potuto aspirare a svolgere incarichi politici di livello. Ci sta, insomma. È la legge della riproduzione sociale.

Detto questo, e posto che i dirigenti anche dei partiti operai sono stati e sono donne e uomini di provenienza borghese, spesso benestanti, talvolta persino ricchi, la questione è un’altra, ed è quella, almeno, di essere sì borghesi MA di non pensare da borghesi, o peggio da ricchi! I dirigenti del PCI, che talvolta erano latinisti e professori, e vivevano ai Parioli, quando la sera venivano a “chiudere” i direttivi nelle sezioni di borgata, poi si fermavano a cena in pizzeria coi compagni di lì, e ascoltavano, ascoltavano, ascoltavano. Erano pizzerie spesso di infimo ordine ma economiche, e quando si trattava di pagare offrivano i borgatari, come atto di cortesia verso il dirigente che si era seduto al tavolo con loro e aveva spezzato con loro il pane, o meglio la pizza.

Poi, certo, se il partito non è operaio, contadino, non ha come referente sociale ultimi e penultimi, ma un ceto mediamente progressista, allora non ci sono remore di sorta. I dirigenti borghesi possono anche pensare da borghesi, anzi è persino meglio. Quindi, fate vobis.