Fonte: La Stampa
Il Doge Zaia e il Capitano Salvini nel vicolo cieco
La Corte dei Conti «interviene nello spazio che le è riconosciuto»: il pizzicotto dell’altra Lega a Matteo Salvini è tutto nella frase di Luca Zaia che derubrica ad atto di ordinaria amministrazione lo stop dei magistrati contabili alla delibera Cipess sul Ponte sullo Stretto. Altro che affronto, ingerenza, invasione di campo, atto di arbitrio da ignorare in nome del preminente interesse del popolo italiano e del ministro che ritiene di interpretarlo. «A me personalmente è capitato con varie opere in Veneto», dice ancora Zaia, e il sottotesto è chiaro: invece di strepitare, Matteo sistemi le carte e risponda alle osservazioni, se ne è capace.
L’altra Lega è in modalità «ben gli sta». L’allerta sul Ponte è la conferma del vicolo cieco in cui si è infilato il Capitano con le sue ambizioni di un partito nazionalista, vannacciano, sovranista, pontifex maximus dell’italico stivale, quello che cerca ancora i voti dei calabresi e dei siciliani o il favore di Viktor Orban mentre il Nord paga il conto dei dazi americani e della crescita zero. L’altra Lega si scansa dallo scontro coi giudici perché è ovvio che l’allerta della Corte è solo l’inizio di una maratona che non potrà essere vinta con la prepotenza e obbligherà Salvini a rendere conto di ogni minuta scelta su quei 13 miliardi «presi dai soldi degli italiani», come già grida l’opposizione. L’altra Lega, che mai ha avuto il coraggio di sfiduciare il suo leader, forse gongola anche un po’: lo spettacolo del No maiuscolo detto da altri è un bel momento.
Ci sono giornate che segnano un punto di chiarezza nelle cose, svelando la realtà dietro i ghirigori con cui la politica maschera le sue difficoltà. Quella di ieri ha messo sotto i riflettori il declino del salvinismo non solo come polo di attrazione elettorale ma anche come capacità di influenzare il governo. Il Ponte sullo Stretto è nato come caposaldo alternativo all’antico vessillo del federalismo che il leader leghista non ha mai sentito suo: era roba dei veneti, dei vecchi Bossi e Calderoli, restringeva l’area di consenso leghista al Nord, andava superato. Il Capitano, però, non ne ha tratto vantaggi nel voto, non ha avuto l’abilità di mandare in porto l’operazione senza inciampi e nemmeno la forza di imporre a Palazzo Chigi di ignorare le contestazioni della Corte e tirare avanti, come pure si poteva fare. E mentre lui veniva sconfitto anche in quest’ultima battaglia, sotto al Senato i parenti-serpenti di Forza Italia esultavano per il trionfo del loro progetto di riferimento, la riforma della Giustizia, approvato in tempi record e senza il cambio di una virgola.
L’altra Lega osserva, giudica, ma soprattutto si chiede: quanto sarà possibile reggere a giornate così?


