La città di pietra e quella di carne. Come ‘salvare’ le città partendo dalle persone

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

Sant’Agostino “La città non è fatta di pietre e sassi ma di cittadini”

La città di pietra e quella di carne. Come ‘salvare’ le città partendo dalle persone.

L’ex Sindaco di Torino Valentino Castellani ha parlato dell’esistenza di due città: una di pietra, l’altra di carne. È alla prima che ci si rivolge spesso con maggiori risorse e maggiore determinazione. Il tema è quello stranoto della manutenzione urbana. Si dice, a questo proposito, che proprio la manutenzione urbana sarebbe la prima opera pubblica da realizzare, e con essa l’asfaltatura delle strade, la segnaletica, l’illuminazione pubblica, la gestione del verde, il decoro urbano. La città di pietra, insomma, si configurerebbe come il contesto di intervento primario per l’amministrazione pubblica, in assenza del quale si è autorizzati a parlare di una città abbandonata e in declino. Il resto sarebbe susseguente, se non addirittura secondario. E invece no, dico io. Una città è per le donne e gli uomini che ci vivono, una città è fatta di corpi che la abitano, con quel che ne consegue in termini di risorse, amministrativi, tecnici, oltre che politici.

Tanto più questo vale per le cosiddette ‘periferie’, dove risiede l’80% circa della popolazione, in condizioni spesso molto disagiate se non di vera e proprio sofferenza sociale. Si tratta, insomma, di ribaltare il dualismo urbanistica/sociale, spostandolo a favore del secondo. Ripartire dai corpi, dalla loro materialità organica e sociale, inserendo in questo programma ANCHE la manutenzione dei luoghi e degli spazi. Dico di più: l’intervento sulle cose non può essere efficace, alla fin fine, se ignora i cittadini che ne fanno uso, quasi fossero ospiti indesiderati. Si dice spesso che Tor Bella Monaca ha un ottimo impianto urbanistico, ma è stracolma di disagio sociale: forse quell’impianto non era l’unica medicina per quel disagio, e si dovesse invece intervenirvi direttamente! Più grande è la frustrazione sociale, per altro, e più grande risulta essere, conseguentemente, il disinteresse verso la qualità urbana, con effetti persino di vandalismo.

La cosa strana, forse inquietante, è che la popolazione era (è!) un elemento costitutivo dell’ente locale, tal che la ‘sicurezza sociale’, ossia l’impegno del Comune per il sostegno e la tutela delle persone, ossia la ‘protezione’, dovrebbe essere l’attività predominante. E invece, nonostante la gran messe di risorse (sempre di meno, però) assegnate ai servizi sociali, il dibattito pubblico vede prevalere il tema delle ‘cose’, quasi che i servizi fossero una appendice costosa a bilancio e niente più. Io credo che lo spostamento di interesse per i luoghi e gli spazi, meglio se vuoti, meglio se protetti dalle persone, sia un effetto ideologico dell’idea che donne e uomini al più sono appendici del capitale. Strumenti che suonano la sinfonia del profitto e basta. Cosicché sia sufficiente garantire un sostegno sociale nella misura necessaria a garantire e sostenere lo sviluppo e l’iniziativa imprenditoriale, punto.

Come? Impegnando (quasi a malincuore) solo la quota di ricchezza sociale strettamente necessaria, concependo invece quale fattore di ‘crescita’ il patrimonio urbano, il suo valore, il suo stato di manutenzione e la sua condizione di incubatore della ricchezza privata. Più che sicurezza ‘sociale’, si tratta in sostanza di sicurezza delle classi dirigenti. La città è come fosse stata colpita da una bomba al neutrino, che sopprime le vite ma salva le cose. Che vuol dire allora occuparsi delle periferie? Vuol dire occuparsi di chi le abita: vuol dire impegnarsi per il lavoro, la casa, la protezione sociale, la salute, la formazione, e quindi ANCHE per la manutenzione delle cose, stabilendo una prossimità con quelle popolazioni e assegnando agli interventi le dovute gerarchie. Certo, poi dovremmo anche dire che non tutta la periferia è degrado, e non tutto il centro è pregio, mettendo una croce sul cosiddetto ‘mito della distanza’. Così come dovremmo dire che la periferia un’anima ce l’ha, magari non è quella che vorremmo, ma ce l’ha. E che il problema vero sono i corpi (sociali, organici, come dicevo), più che l’anima. Ma sarebbe un discorso troppo lungo adesso, che riprenderemo in seguito.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.