LA COSCIENZA ADDOLORATA DI CHI VA A PIEDI
In questa afa di agosto, racconto l’esercizio doloroso di chi va a piedi ormai da anni, e mi accorgo di essere divenuto punto debolissimo dell’ordine naturale, ultimo dei derelitti e dei paria al bordo della strada. Vivendo in una zona montagnosa, posso in parte superare distanze sui sentieri, ma per gli altri spostamenti devo riprendere la strada asfaltata, sullo strettissimo margine che la striscia bianca mi concede. Sono tra quelli che devono sbracciarsi per farsi vedere e chiedere clemenza per attraversare. Anche così, anche se le auto non mi toccano, ma può malauguratamente accadere, perché sono confinato su un marciapiedi, sono offeso dai motori rombanti a un metro di distanza, dai gas di scarico, dallo sferragliare di lamiere. Non ho nulla da perdere nel raccontare quello che sì prova stando dall’altro lato della barricata. L’automobilista al volante non sospetta nulla del disagio che la sua macchina provoca quando sfreccia al mio lato. Mi ignora semplicemente, o mi nota quel minimo per non mettermi sotto. Ho la netta sensazione che l’automobile sia un’arma impropria per una allegra caccia al passante. Ne sono certo, l’auto fa sfogare istinti e rabbiette, alimenta deliri e arroganze, e tutto ciò grazie a una concentrazione di metalli, acciaio, alluminio, piombo, plastiche.
Se mi monto in automobile in casi contati per un passaggio, è solo un sintomo della debolezza umana ma non inficia quanto detto, né è condivisione della ideologia sottesa. Va senza dire che non guido ormai da più di due decenni. Noi passanti siamo una minoranza che mette a tacere le sensazioni corporee del confinamento obbligatorio, perché ci si abitua a tutto, si abbassa la testa. È una finta amicizia di convenienza quella tra il pedone e l’automobilista, ma voglio farmi distinguere, perché essere amico a priori di chi è al volante o cavalca una moto non mi convince. Le maniere cortesi, il ringraziamento al momento di percorrere col salvacondotto i pochi metri delle strisce pedonali, sono solo un occultare di sentimenti per evitare guai peggiori. Me qui tra di noi posso essere franco, anche se l’andazzo non cambierà per questo. Non voglio essere compiacente con chi, mentre mi sorride frenando la vettura, potrebbe avermi investito, perché ha rallentato appena a tempo. E ci sono quegli automobilisti che si distinguono per la famosa corsa dell’asino, quelli che accelerano nervosi e poi frenano un istante dopo, quando alla vista c’era un palese ingorgo o semaforo rosso.
Mi assale un dubbio. È buono dire a migliaia di persone quello che si sente stando dall’altro lato della barricata? Non mi espongo al ridicolo della inutile protesta?
Per essere equanime, e considerato che nella vita tutto o quasi è simmetrico, devo ammettere che anche chi guida sia probabilmente ostile a chi va a piedi e che consideri il passante un fastidio di cui vorrebbe prescindere. Chissà come sono le cose viste dall’altro lato.
FILOTEO NICOLINI
Immagine: Achille Funi, Motociclista


