La pace sporca e la pace giusta

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Lucio Caracciolo
Fonte: La Repubblica

La pace sporca e la pace giusta

di Lucio Caracciolo  – La pace è bene in sé: non ve n’è mai abbastanza. Capita però di averne abbastanza. Quanto sembra oggi accadere a noi europei, italiani inclusi, narcotizzati da ottant’anni senza guerra. Ci chiediamo se non siano troppi. Se il privilegio di cui godiamo come nessun’altra generazione precedente stia per scadere. Debba scadere. Nel dubbio, alle armi. Riarmo da paura. Sempreverde dimenticato nell’orto del nonno. Rimbombo sinistro nelle cancellerie europee stanche di pace. Come essere in guerra senza ancora esserci. La grande rimozione rischia di riesploderci in mano perché non sappiamo più cosa sia. Perché preferiamo non saperlo.

Storia insegna che pace e guerra si inseguono da sempre, cicliche. Ma la durata dei cicli la scopriamo a posteriori, ciascuno dalla propria prospettiva, inscritta nel senso comune alla collettività cui appartiene. Unica certezza: pace e guerra non sono eterne.

La pace sporca di cui non si parla è il contrario della pace giusta di cui retoriche ufficiali e loro ufficiosi megafoni discettano, senza spiegare in cosa consista. È la pace prodotta dal compromesso. Alternativa alla resa imposta dal vincitore o alla strage infinita. È la consapevolezza che le guerre possono e debbono finire per il bene di chi sopravvive. Perché i sacrifici dei morti servano ai vivi.

Pace giusta è ossimoro. Se è pace non può essere giusta salvo nel senso del vincitore, tale in quanto lo sconfitto accetta la fine delle ostilità per mitigarne le conseguenze.

La storia è sempre in movimento, fra conflitti e tregue. Nessuno può imporsi senza che altri reagiscano né arretrare senza che altri avanzino. Guerre e paci descrivono un continuum nel quale gli attori portano con sé tutta la linea della loro vita, che s’incontra e scontra con le altrui. Non necessariamente in armi. Sanzioni e controsanzioni, attacchi cyber e lavaggi di massa dei cervelli producono nel tempo effetti altrettanto micidiali delle bocche da fuoco. La ricerca infinibile della pace giusta significa guerra permanente. Senza scopo che non sia sé stessa. Male in sé: ve n’è sempre troppa.

Senza pace, ovvero tregua, non si dà giustizia. Finché si combatte vige la forza. Per stemperarla urgono compromessi. Incerti, ambigui, financo repulsivi. Pur sempre vita. Perfettibile, a differenza della morte.

Nel mondo gravido di apocalisse l’alternativa alla guerra è la pace sporca. Nel doppio senso, aggettivale e verbale. L’aggettivo indica il tacere delle armi sulla soglia della distruzione totale, strutturato in competizione tra attori disponibili a sacrificare “irrinunciabili” princìpi per scongiurare la guerra fuori tutto. Il verbo ci ricorda che la pace necessita manutenzione. Ti devi sporcare le mani. Scegliere fra mali minori. Oliare le frizioni fra interessi e impulsi opposti.

Conta stabilire una rotta che eviti la fusione dei “pezzi di guerra mondiale” evocati da papa Francesco in uno solo, totale e finale. Imperfettissima, provvisoria pace “impura”, “non tranquilla”, nell’elegante definizione che ne diede tre anni fa Emmanuel Macron. Sì, proprio lui, oggi volenteroso alfiere della sfida militare alla Russia in soccorso dell’Ucraina invasa. Talvolta i bluff si autoavverano.

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