Anche ieri per Tonia Mastrobuoni di Repubblica il vero vincitore di questa tornata politica sarebbe Renzi. Lo pensano tutti gli avversari del nuovo governo, tra i quali i giornalisti del quotidiano di Scalfari si trovano eroicamente in prima linea. Anche oggi nell’intervista a Zingaretti di Stefano Cappellini, almeno sei domande molto incalzanti vertono su Zingaretti che avrebbe cambiato idea sulla formazione del governo (ossia, non avrebbe midollo), su Renzi “decisivo” nella vicenda (lui sì che è un Capo), sulle pressioni subite dai padri nobili (i soliti governisti), sulle elezioni non svolte (non si è data la parola al popolo), sulla supposta telefonata a Salvini per concordare elezioni anticipate (allora c’era un patto!). Mi chiedo se il partito di Repubblica, stavolta, sia renzista a sua insaputa o consapevolmente. Certo, è smaccato come al centrosinistra manchi un organo stampa, e come Zingaretti (e non solo lui) oggi si muova in un mondo difficile.
Non si tratta di una questione editoriale, ma politica. Si dice spesso che i partiti non ci sono più, in quanto vittime di una politica meno partecipativa, più mediatica e personalizzata al vertice. È così. Ma forse l’analisi più corretta è un’altra, ossia che i partiti ci sono ancora, pur assumendo tuttavia altre forme. È la forma-partito che è mutata. Si è personalizzata e mediatizzata (che poi è le stessa cosa, perché sono i media a invocare una sintesi delle posizioni politiche all’interno di specifiche figure umane: i vari Matteo, Silvio, Giggino…). Ha assunto l’aspetto di un organo stampa o di grandi imperi editoriali. Si è fatta semplice movimento. Coadiuva con società private, ne è fagocitata. Con ciò rendendo più facile alla destra la conquista di un’egemonia, perché il tipo ‘personalizzato’ le si confà particolarmente.
È normale, allora, che il partito di ‘Repubblica’ reagisca stizzito al progetto zingarettiano di un capo che costruisce equilibri politici più alti e avanzati all’interno del proprio partito, invece di fare il trombone a uso mediatico. È normale che lo schema elettorale della politica sia il maggioritario, e si tagli con l’accetta o si giochi sul bianco e nero: tutto questo è più aderente alla logica dei media. È normale pure che la destra invochi elezioni, perché il partito di destra ama il lavacro elettorale, interpreta le elezioni non per quello che sono (costruzione di una rappresentanza parlamentare), ma come plebiscito nei confronti del Capo. È normale che il ‘popolo’, a queste condizioni, non è quello che esercita una sovranità nei limiti nelle forme della Costituzione, ma una romantica fonte di legittimazione assoluta, una soldataglia da manovrare, un’entità organica e indifferenziata, “pancia” o, peggio ancora, utenza o committenza mediatica.
Lo spazio della sinistra si riapre, allora, solo se questa logica complessiva viene finalmente lesa. Se si ribalta il guanto. Se ci fosse (e c’è!) qualcuno a sinistra che questo progetto tecnico-mediatico-populista lo sappia contrastare invece di ‘lisciarlo’ a proprio tornaconto. Dopo di che, restituito alla politica ciò che è della politica, e ai media ciò che è dei media, non sarebbe male resuscitare l’Unità, come grande giornale della sinistra, strumento di linea, dibattito, approfondimento, ricerca: di ‘unità’ appunto. Intanto cominciamo un po’ a decontaminarci da una situazione ormai trentennale che ci vede succubi della egemonia altrui. Servono piccoli passi ma concreti. Bisogna cogliere le differenze anche piccole e accendere la luce sulle famose vacche. Basta già un piccolo spiraglio per cogliervi qualche riflesso di colore.
PS, è superfluo ma va detto. È legittimo ed è un bene che ‘Repubblica’ esprima una linea editoriale avversa. La libertà di stampa è un tesoro (liberale!) da custodire. I miei sono solo rilievi politici verso un partito, che è tale a tutti gli effetti, perché agisce sul piano della prassi, vuole condizionare, e non si limita a esporre fatti e opinioni. Tutto qui.


