La tautologia Corbyn

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 15 settembre 2015

Jeremy Corbyn è una tautologia, quella cosa che gli studiosi e i professori esemplificano con la formula A = A. Un albero è un albero. Il rosso è il rosso. La perfetta unità di soggetto e predicato. Una cosa semplice, logica, ancorché intuitiva, ma che in politica la si nega da decenni. Corbyn non è il paradosso di un uomo di centro o di destra capace di scalare dall’esterno un partito di sinistra, che cessa perciò, in quello stesso istante, di essere tale. No. Corbyn è un uomo di sinistra, chiamato a guidare la sinistra, in qualità di segretario di un partito di sinistra. Una cosa così chiara ed evidente che si stenta persino a capirla oggi in tutta la sua effettiva portata, affumicati come siamo da ideologie d’accatto, pragmatistiche, da fiera di paese. Ideologie che pretendono di essere non ideologiche, pensate.

Dicono: si vince solo se la sinistra è guidata da un uomo di centro che la ‘sposta’ a destra, la immischia, la rende spuria e indefinibile. Per due decenni almeno abbiamo creduto a questa sciocchezza, ritenendo che il problema fosse vincere purchessia, anche indossando la maglietta dell’avversario. Oggi possiamo dirlo: non è così. Non è necessario consegnare il partito (e la sinistra) a un passante che sciorina parole chiave di destra, ritenendo che sia il prezzo da pagare per l’accesso al governo. Ha detto bene ieri la Annunziata: magari non si vince ma ne vale la pena. Vale la pena rimettere il mondo sui piedi invece che a testa in giù. Vale la pena scendere sul campo di battaglia con le nostre bandiere, non con quelle dell’avversario. Battersi schierati dietro le nostre linee, non occupando abusivamente quelle della destra. Vale la pena distinguere le nostre idee e le nostre soluzioni da quelle altrui, senza larghe intese o grandi coalizioni o pateracchi di varia sorta anche quando non è affatto necessario.

Si può perdere certo, come no, ma fa parte del gioco democratico. La democrazia non è una pantomima, ma una lotta vera, ingaggiata da schieramenti veri, non da maschere di carnevale infarcite di storytelling. E, comunque, vincere (nel caso!) scimmiottando la destra (come fu per Blair, com’è oggi con Renzi in Italia) vuol dire perdere comunque. Vuol dire consegnarsi al nemico senza nemmeno combattere, contentandosi delle briciole, del traboccamento, una sorta di spillover che ci ha reso residuali rispetto alla destra. E poi, quando l’avversario dice che sei un pericolo per la nazione (Cameron), oppure il nemico interno ( lo disse Margaret Thatcher dei  minatori), la vittoria è più vicina, non più lontana.

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