di Luigi Altea 21 giugno 2016
Fare la minoranza nel PD è sempre meglio che andare a lavorare.
Questa è una ragione sufficiente perché venerdì nulla cambi all’interno del partito etrusco.
Matteo Renzi è uscito certamente sconfitto dalle elezioni comunali, ma è altrettanto vero che ha gia vinto la sua vera partita: svuotare il Partito Democratico di quel che restava di sinistra, e farne un partito personale.
Giovedì assisteremo alla solita penosissima farsa.
Ci sarà chi, inferocito, chiederà al segretario di essere un po’ più umile, e gli confermerà lealtà e il sì al referendum…
Poi ci sarà chi, elegante e forbito, non chiederà le dimissioni di nessuno, perché il problema è un altro…
Infine ci saranno quelli che diranno e non diranno, accenneranno a qualche critica, ma costruttiva, e condita da ampi riconoscimenti ai meriti del capo.
Qualcuno di questi pervicaci oppositori sarà cooptato nella Direzione, e andrà, con qualche ostentata ritrosia, a sostituire chi, avendo già dato, è rimasto senza saliva.
La cerimonia delle vili ipocrisie terminerà con un voto bulgaro, col quale saranno approvate la relazione e le proposte del segretario.
All’interno del PD non c’è più nulla da salvare che possa dirsi di sinistra, a parte qualche traccia, qualche residuo.
La minoranza PD sembra un fondo di bottiglia che, di tanto in tanto, se agitato, dà qualche segno della sua presenza, per poi di nuovo depositarsi, sedimentare, intorpidire.
Tutto cominciò con “Adesso Renzi”.
Ci sono nella vita attimi preziosi, quando occorre intuire la verità, quando senti battere il polso degli eventi, quando incrociando uno sguardo intravedi l’inganno…
In tutti questi momenti nel cuore semplice di un militante affiora misteriosamente un presagio…
“Adesso Renzi” annunciava non un approdo, ma un naufragio.
Moltissimi compagni lo capirono e lo gridarono.
I cosiddetti leader, invece, assecondarono, facilitarono…
E adesso?
Adesso è tardi.


