Letta, Pirandello e le maschere dei notabili Pd

per mafalda conti
Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Ricapitoliamo.
Un segretario eletto con le primarie da una maggioranza amplissima si dimette denunciando la degenerazione morale di un partito (leggi una classe dirigente) che per settimane discute di posti mentre gli italiani si difendono dal Covid.
Passano dieci giorni e l’assemblea convocata per eleggere un nuovo segretario lo vota praticamente all’unanimità, compresi quanti non avevano sostenuto la segreteria precedente.
Delle due l’una.
O abbiamo capito in una sola mattinata che convocare congressi e primarie per una durata complessiva di quattro o cinque mesi è una cosa assolutamente inutile e, da ora in avanti, tutto (compresi i nodi politici o di impianto culturale e programmatico) si può serenamente risolvere in un paio d’ore.
Oppure ha ragione quel galantuomo di Arturo Parisi quando spiega che l’ennesimo unanimismo di facciata maschera l’ennesima volontà di non discutere in modo serio.
Io vorrei che Parisi sbagliasse, anche per questo ho molto apprezzato quel riferimento di Enrico Letta, ieri mattina, a una battuta tratta dai “I giganti della montagna” portati in scena alcuni anni fa da Gabriele Lavia.
Quella battuta era riferita alla vita che ci obbliga a vedere pochi volti e conoscere molte maschere.
“I Giganti della montagna” è un’opera incompiuta.
Pirandello non riuscì a completarne la stesura.
Facciamo in modo che l’incompiuta non ricada anche su noi.
Ma per evitarlo le parole non basteranno, serviranno coerenze e parecchia verità.
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