Fonte: La Stampa
Caro direttore, ero un giovane democristiano alle prime armi e sentivo raccontare del vagone letto che il ministro Taviani prendeva la notte da Roma per tornare a Genova. In ogni stazione di quel percorso c’era un agente di polizia in attesa sui binari a cui il capotreno comunicava serafico che tutto stava andando per il meglio, senza problemi e senza patemi.
Si trattava del ministro dell’Interno, in anni difficili per giunta, e forse qualche riguardo all’epoca poteva anche starci. Ma erano, come dire, riguardi un po’ barocchi. E infatti finirono. Il ministro Lollobrigida deve aver pensato che fosse più moderno fare da sé. Ed è sceso dal treno in rallentamento pur di accelerare il suo percorso. Cosa che gli è valsa -forse- la puntualità in quel di Caivano, dove era atteso. In cambio però -certamente- di una polemica che rischia di accompagnarlo per un bel po’. Ora, l’invettiva contro la casta ha fatto il suo tempo senza produrre, a quanto pare, grandi risultati. Dunque potrà magari capitare che questa volta le polemiche saranno leggermente meno irruente e tonitruanti di quelle che ci hanno tenuto compagnia da un po’ d’anni a questa parte. Ma il copione messo in scena ad opera del ministro ieri sulla tratta tra Roma e Napoli all’altezza di Ciampino sembra fatto apposta per ridare fiato alle trombe del populismo. Con qualche giustificazione, temo.
Lo scandalo, se così si può dire, sta forse più nel sottinteso che nel gesto. Sta cioè nella mancata comprensione della sensibilità del pubblico. Che da anni e anni mostra insofferenza per la classe politica. E a cui per l’appunto la classe politica dovrebbe offrire convincenti esempi di sobrietà e senso della misura. A tutela anche di se stessa. Può darsi che l’onda di piena delle polemiche degli ultimi anni sia un po’ passata. Eppure andrebbe sempre considerato che ci si mette un attimo a rinfocolarla. Il pensiero comune attribuisce, infatti, ai dirigenti politici più vantaggi di quanti ne abbiano. E trascura semmai la fatica che anche di questi tempi accompagna quanti si dedicano alle cure della cosa pubblica. Dunque essi possono sempre sentirsi in diritto di reclamare una maggiore clemenza. E tuttavia a chi si occupa di politica è richiesto almeno, in cambio, di avere una doverosa sensibilità per gli umori delle persone.
Lì infatti è la cifra del “mestiere”, se così vogliamo chiamarlo. Della vocazione, quando c’è. Del Beruf come direbbero i cultori di Max Weber. Tenendo bene a mente che ogni forma di arroganza inevitabilmente sortisce l’effetto di rinfocolare i sentimenti popolari più negativi. Così l’errore finisce per essere più del “delitto”, e l’impressione più della cosa in sé e per sé. Ma è proprio la capacità di mettersi nei panni degli altri, e tanto più nei panni dei propri elettori che segnala il talento del buon dirigente politico. Quando il talento c’è, ovviamente. Si può comprendere l’ansia di arrivare per rispetto di un appuntamento pubblico. Ed è piuttosto ovvio che la funzione di governo possa invocare per sé qualche vantaggio. Le auto blu, l’aereo di Stato, il servizio di scorta. Tutte cose che ai cittadini non piacciono, ma che pure hanno un loro perché. Corrispondono a una necessità pubblica e non solo a una comodità privata.
Ma appunto per questo l’apparato messo a disposizione dovrebbe sempre essere amministrato con un grandissimo senso della misura. Magari considerando che su quel treno potevano viaggiare professionisti altrettanto ansiosi di arrivare presto ai loro appuntamenti. E più ancora, considerando che in questa occasione a tutti gli altri passeggeri non è stata offerta una mirabile lezione di educazione civica.


