NATURA DELLO SPAZIO
Siamo così irretiti in giochi di parole banali che il passato delle idee profonde e vibranti e le basi del pensiero ci appaiono morti. Il presente gli ha tagliato metaforicamente la gola e ne ha sparso il sangue. Eppure, quelle idee e quelle parole, misurate e precise, erano frutto di vivi dibattiti, tensioni spirituali, confronti filosofici. Allora, la filosofia e la teologia erano legittimamente interessate nelle questioni relative alla natura dello spazio, la struttura della materia, il valore del pensiero.
È il cardinale Nicola da Cusa chi comincia a negare che il mondo sia finito e chiuso dentro le sfere celesti; il suo universo è privo di frontiere e può essere oggetto di conoscenza parziale, motivo della docta ignorantia. Afferma che la Terra non può essere centro né essere priva di movimento, anche se non pare così, perché niente nel mondo può permanere in riposo. E Nicola da Cusa proclama che la Terra è un astro nobile che possiede luce e calore, e non c’è centro di perfezione nel suo universo ma i diversi componenti contribuiscono alla perfezione affermando ognuno la propria natura. Copernico concede al Sole il luogo centrale seguendo i Pitagorici, perché è fonte di vita e luce, mentre l’altro polo è rappresentato dalle stelle fisse, con i pianeti noti nel mezzo. Ora comincia a delinearsi quella che diventerà la dicotomia tra il cielo teologico e il firmamento astronomico, tra la sfera celeste, dimora di Dio e gli angeli, e i mondi del Sole e dei pianeti. È Giordano Bruno chi si spinge fino ad affermare che c’è una unica e vasta immensità dove si situano innumerabili globi come questo nel quale viviamo. Dichiara Bruno che questo spazio pieno di etere e materia è infinito, dato che né la ragione né la convenienza né la percezione dei sensi gli assegnano un limite. Così, prosegue Bruno, si magnifica l’eccellenza di Dio e si rende manifesta l’immensità del suo Regno. Non si glorifica Dio in uno, ma in innumerabili soli, non in una sola terra, ma in una infinità di mondi. Se per Cusa l’universo è in movimento e mutazione, per Bruno il movimento e il cambiamento sono segni di perfezione e non di carenza.
La concezione dell’universo infinito è una dottrina metafisica che non può sostenersi sulla scienza empirica, ed è perciò rifiutata da Keplero. Keplero non condivide l’entusiasmo di Bruno per un universo infinito che esalti il potere di Dio, perché i filosofi hanno fiducia ad occhi chiusi nelle visioni delle proprie menti, e le loro idee non nascono dall’esperienza valida ma sono concezioni tutte loro. La astronomia in quanto tale deve occuparsi di dati osservabili e adattare le sue ipotesi sui movimenti celesti alle evidenze, al mondo che vediamo, quindi alla ottica. Keplero non può ammettere nulla che contraddica le leggi dell’ottica. Pone serie obiezioni all’idea di un mondo infinito, all’impossibilità di una stella visibile a distanza infinita, e poi un mondo ipoteticamente infinito avrebbe necessariamente una perfetta uniformità di struttura e contenuto. Risulterebbe cioè impensabile una dispersione irregolare e irrazionale delle stelle, così come si osserva. Come aveva già detto Bruno, Dio non ha ragioni per stabilire distinzioni tra i luoghi di uno spazio perfettamente omogeneo. L’astronomia non ha niente da dire circa le stelle che non si vedono né si possono vedere. Il telescopio di Galileo aumenta i mondi osservabili e quindi le conoscenze astronomiche, ma non risolve problemi metafisici.
Cartesio, seguendo i passi di Galileo ed estendendoli all’astronomia, formula i principi di una nuova scienza, la riduzione alla matematica. Il mondo di Descartes non è affatto il mondo multiforme della nostra esperienza diaria, che è soggettivo e fatto di opinioni instabili basate sulla confusa percezione dei sensi, ma un mondo matematico e geometrico, e in questo mondo non c’è altro che materia e movimento, ed essendo la materia identica alla estensione spaziale, non c’è altro che estensione e movimento. In altre parole, la natura del corpo non consiste nella durezza, nel colore o nel peso, ma solo nell’essere sostanza estesa in lunghezza, larghezza e profondità. Se c’è separazione e distanza, questa distanza contiene necessariamente qualcosa, sostanza o materia, oppure materia sottile che non vediamo, etere. Nel mondo non c’è spazio vuoto ma è pieno di etere, anzi, non esiste in assoluto lo spazio da solo, distinto dalla materia o etere che lo riempie. I corpi non si trovano nello spazio ma solo tra altri corpi, perché lo spazio che occupano non è distinto da essi. Possiamo perfettamente privare un corpo delle sue qualità sensibili e l’idea che rimane è di una sostanza estesa in lunghezza, larghezza e profondità.
Il Dio di Cartesio non si esprime nelle cose, e le cose non sono il suo simbolo. Non c’è analogia tra Dio e il mondo, né immagini o vestigi. Solo la nostra anima è un essere, una sostanza pura la cui essenza è pensare e captare l’idea di Dio. La conoscenza che possiamo raggiungere è perciò vera e autentica, se evitiamo l’errore.
Henry More obbietta a Cartesio: come è possibile che una anima puramente spirituale, quindi sprovvista di estensione, possa essere unita a un corpo materiale che è solo ed esclusivamente estensione? Non è preferibile supporre che l’anima, sebbene immateriale, sia estesa così come lo deve essere Dio? Altrimenti, come potrebbe comunicare movimento alla materia? Dio non avrebbe potuto mettere in moto la materia dell’universo se non fosse stato presente dappertutto e avesse occupato tutti gli spazi. Dio, quindi, si estende ed espande dovunque, ed è necessariamente esteso. Ne segue che due spiriti o più possono occupare lo stesso luogo mentre i corpi non sono compenetrabili.
Il dibattito delle idee tra Cartesio e Henry More si può sintetizzare così. La identificazione cartesiana di estensione e materia è criticata perché non si può negare allo spirito l’estensione attribuendola solo alla materia. Secondo More, non ci sono due tipi di sostanze, quella estesa e quella non estesa, ma c’è solo un tipo, perché ogni sostanza è estesa, sia materiale sia spirituale.
Poi, la materia è mobile ed occupa spazio a causa della sua impenetrabilità, mentre lo spazio non è mobile, ma è indifferente alla presenza o assenza di materia in sé. Secondo More, e al contrario di Cartesio, lo spazio senza materia è una idea accettabile e necessaria per la nostra comprensione. Afferma non solo l’esistenza reale dello spazio vuoto infinito ma anche lo presenta come l’esempio più evidente di realtà immateriale e perciò spirituale, primo tema della metafisica. un essere immobile ed esteso, distinto dalla materia mobile. Chi nega, come fa Cartesio, tanto lo spazio vuoto come l’estensione spirituale sta escludendo gli spiriti, le anime e Dio, non lascia loro alcun luogo. Dove sono gli esseri reali? More risponde: in ogni parte, mentre Cartesio si vede obbligato a rispondere: in nessun luogo. Di qui l’accusa di materialismo ai seguaci di Cartesio. Lo spazio è una sostanza ma non è una sostanza corporea, non è materia, è spirito, anzi non uno spirito, ma lo Spirito, ovvero Dio. Lo spazio è reale e non solo, è divino. Gode quindi degli attributi della divinità: è uno, semplice, immobile, eterno, completo, indipendente, esistente in sé stesso, sussistente da sé, incorruttibile, necessario, immenso, non creato, non circoscritto, incomprensibile, onnipresente, incorporeo, onnipenetrante, onnipresente, atto puro, essere attuale, essere a causa della sua essenza.
Sarebbe sorprendente, un vero prodigio, che lo spazio risultasse una nullità!
Continua More: questo spazio non è creato, è eterno, a differenza delle cose che contiene, che sono mutevoli e temporali, create a un certo momento. lo spazio possiede dunque gli attributi formali dell’assoluto. Quindi divinità dello spazio, spazialità di Dio.
Spinoza distingue tra la estensione che i sensi percepiscono, divisibile e mobile, e l’estensione intellegibile, infinita e indivisibile, essenza di Dio. Newton osserva ugualmente che il volgo non concepisce il tempo, lo spazio, il luogo e il movimento se non di forma empirica e riferita agli oggetti sensibili. Per evitare errori, li distingue in assoluti e relativi, veri ed apparenti, matematici e comuni. Il tempo e lo spazio assoluti, veri e matematici, si oppongono allo spazio e al tempo del senso comune, e potrebbero chiamarsi meglio spazio e tempo intellegibili in opposizione a sensibili. Il tempo, per Newton, assume realtà per diritto proprio, quando afferma che “il tempo assoluto, vero e matematico, per la sua propria natura, fluisce uniformemente senza referenza a nulla di esterno.” Analogamente, lo spazio permane sempre immobile e senza riferimento a nulla esterno, e non va confuso con lo spazio relativo che è legato al corpo e si muove solidale con esso attraverso lo spazio assoluto. Raphson si spinge fino ad affermare che lo spazio è incorporeo, immutabile, eterno, incomprensibile, non divisibile, perfetto, infinito, non creato. È lo spazio divinizzato.
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“L’eterno silenzio di quegli spazi infiniti mi sgomenta”. Così esclamava B. Pascal negli stessi anni, poco prima della sua morte. In quegli anni si consumava il trapasso dalla filosofia contemplativa alla scienza attiva, dalla intuizione metafisica all’azione per convertirsi in padrone della natura. Già i Cieli non proclamavano più la gloria di Dio. Pensiamo a come è prosaico, freddo, astratto il modo moderno di concepire lo Spazio! Le tre dimensioni ad angolo retto fra di loro sono divenute un modo di collocare i fenomeni sensoriali. Tutto qui. In contemporanea, la colonizzazione promessa di settori dello spazio interplanetario, quello relativo, occupato dalla materia. Dio si è nascosto per il nostro intelletto freddo, non così per il cuore che ha altre ragioni.
FILOTEO NICOLINI
Immagine: REMEDIOS VARO, Microcosmos


