Partiti dell’immaginario

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

Io non mi straccerei le vesti per il 3.8 spuntato da Coraggiosa. Ennesima lista elettorale, ennesimo simbolo sconosciuto ai più, certo tagliato a misura del lancio della Schlein ma in una dinamica fortemente concentrata sui candidati alla presidenza regionale (con l’intromissione di Salvini in quanto candidato premier virtuale). Considerato lo scarso appeal, se non la motivata damnatio, che condanna in generale le liste di sinistra d’intonazione vetero-radicale (vedasi il risultato delle tre liste extra coalizione che insieme hanno ottenuto gli stessi voti dei no-vax), si potrebbe quasi dire ‘grasso che cola’.

Inoltre va considerata anche la parallela polarizzazione del voto di lista per la contesa del primato fra Lega e Pd, dopo che nel 2018 il M5S era emerso come primo partito, cossiccome la Lega alle europee dell’anno successivo.

La gente ha votato in massa il Pd (smentendo le previsioni demoscopiche di una cospicua erosione ai suoi danni ad opera della Lista del Presidente) quasi riportandolo alle percentuali del 2013 d’epoca bersaniana, per riaffermare il primato politico della sinistra come tale. Il voto al Pd in quanto immaginario rappresentante della sinistra. Si potrebbe dire un voto per autoconvocazione simbolica, esattamente come le masse sardiniche hanno corrisposto a un bisogno sans phrase di presenza fisica di massa nello spazio civico di una campo di opinione che a un certo punto si è sentito negletto. Un voto ‘arrivato’ al Pd per via metempsicotica, piuttosto che ‘raccolto’ dal partito. Posto che il Pd non esiste più come struttura territoriale concreta e la sua classe politica è fatta di impiegati remunerati con incarichi pubblici ormai totalmente avulsa da un corpo militante a sua volta quasi evaporato nel nulla.

Del resto questa evanescenza caratterizza ogni forza ‘politica’. La Lega viene plebiscitata in intere aree territoriali dove non ha neppure una sede e men che meno una classe politica conosciuta. Dove la Lega si diffonde senza alcuna radice, come pura aura, sentito dire e soprattutto veduto in Tv, in particolare dopo un passaggio di Salvini con al seguito il Barnum degli spacciatori mediatici. Elemento di per sé sufficiente a restituire l’immagine, moltiplicandola all’infinito, di una comunione carnale fra un leader e un popolo sedicente autoctono quanto autocompatentesi.

Un fenomeno analogo a quello dei 5S, anch’essi evoluti nel giro di soli tre anni dall’incubatore urbano praticato da sparute minoranze di attivisti comitatisti a forza territoriale dominante sospinta da flussi puramente virtuali.

Ma la cosa era avvenuta anche col renzismo, sia nella fase delle primarie e nell’apoteosi delle eiuropee.

Il paradosso delle forze ‘territoriali’ è questo: di planare su un territorio e monopolizzarne la rappresentanza immediata senza avere alcun rapporto reale con esso. Giochi dell’immaginario e delle aspettative piscologiche, nonché campo d’irradiazione di flussi mediatici. E più un territorio è sguarnito di densità sociale e complessità funzionale più il cambio di scena è invasivo e rapsodico.

In questo contesto il voto a Coraggiosa replica quanto già era avvenuto con Leu. Il ritrovarsi nell’urna di una retroguardia militante minoritaria di massa affratellata da un rapporto esistenziale ‘elettivo’ e comunitario. Un cristallo di esistenza sociale concreta. Una anomalia.

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