Se nella Striscia la guerra cambia forma

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Majdal-Assar
Fonte: La stampa

Se nella Striscia la guerra cambia forma

Le strade di Gaza oggi erano pervase dalla confusione, fatta di un misto di cauto sollievo e di profonda ansia. I mercati sono di nuovo affollati, i prezzi finalmente stanno scendendo e, per la prima volta da mesi, gli abitanti hanno iniziato a respirare un po’ meglio. Eppure, proprio dietro le bancarelle di verdura e il chiacchiericcio degli acquirenti appena tornati, nell’aria aleggia la paura, quella di una crescente illegalità, di scontri armati e di una società che barcolla sull’orlo di un conflitto interno.

A Ramallah l’Autorità Nazionale Palestinese ha pagato in parte gli stipendi – il 50 per cento del salario dei dipendenti pubblici – e questo ha portato un piccolo ma tangibile senso di ripresa all’economia di Gaza. Circa il 40 per cento delle entrate dell’enclave deriva da questi pagamenti, che erano stati sospesi o fortemente ridotti dall’inizio della guerra, a causa delle restrizioni israeliane ai ricavi delle vendite di liquidazione dell’Anp.

Il pagamento parziale di questo mese è stato sufficiente a rianimare l’attività nei mercati. I banchi della verdura hanno iniziato a riempirsi di clienti, nella Striscia hanno riaperto le panetterie e i generi alimentari di base sono ricomparsi nei negozi, anche se carne e uova scarseggiano.

La riapertura delle panetterie nella parte nord e sud di Gaza ha segnato la fine simbolica di quelli che i locali chiamano «mesi di fame». Tuttavia, dietro questo fragile miglioramento economico, la situazione della sicurezza a Gaza si sta rapidamente deteriorando.

I residenti, infatti, adesso devono far fronte a un preoccupante aumento della violenza e degli scontri armati tra le forze di Hamas e i clan locali. Negli ultimi giorni, le forze della sicurezza controllate da Hamas hanno circondato la famiglia Dughmush all’interno di una zona chiusa nel quartiere Al-Daraj nella parte settentrionale di Gaza, in seguito a precedenti scontri con la famiglia Majaida a Khan Younis che hanno provocato vari morti e feriti. Dopo poco è stata raggiunta una tregua, e le controparti si sono scambiate i corpi dei morti ammazzati.

Nel frattempo, Hamas ha iniziato a contenere i gruppi armati indipendenti che si sono affermati durante la guerra per riempire il vuoto che si era creato nella sicurezza. Uno di questi gruppi, guidato da Ashraf al-Mansi, 37 anni, di Sheikh Radwan, è stato smantellato da Hamas. Diciassette seguaci sono stati arrestati, altri sono stati uccisi in strada in quella che i residenti definiscono «giustizia sul campo».

In tutto questo, anche la comunità dei giornalisti è stata colpita dalla tragedia. Un noto giornalista e influencer sui social, Saleh al-Jafrawi, 24 anni, è stato ucciso in circostanze misteriose. Così è accaduto anche al figlio maggiore del leader di alto livello di Hamas Bassem Naim, morto in scontri tra le forze di Hamas e le milizie rivali nel quartiere al-Sabra di Gaza, mentre Wael Nassar, figlio di un altro comandante di Hamas noto con il nome di Abu Sohaib Nassar, è stato ucciso in scontri dello stesso tipo.

Abdullah Basil, 36 anni, attivista per i diritti umani, sfollato da Gaza a Zawada al centro della Striscia, descrive la situazione come «una fase di transizione pesantemente complessa».

 

«Oggi a Tel al-Hawa, un gruppo di persone armate e con il volto coperto si è aggirato nella zona, arrestando, controllando i nomi in un elenco, uccidendo alcuni gazawi» ha scritto sui social. «Quella in corso non è soltanto una lotta tra Hamas e vari collaboratori, ma una battaglia su come riconfigurare i centri del potere e ricostruire un’autorità dopo il crollo delle strutture sociali ed economiche tradizionali».

Abdullah ha aggiunto che le tribù, i grossi mercanti, le reti dei criminali e tutti gli ambienti di lavoro che girano intorno agli aiuti si stanno posizionando per acquisire influenza, mentre Israele continua a interferire dietro le quinte. Hamas, sostiene Abdullah, cerca di rimanere «protagonista» in un paesaggio diventato multipolare e quanto mai incerto. A molti residenti, gli scontri in corso sembrano quasi una continuazione della guerra con altri mezzi.

«La guerra non è finita» dice Shadi al-Wawi, giovane fotoreporter di 24 anni. «Sta solo mutando forma. Quelli che non sono morti sotto i bombardamenti potrebbero perdere la vita adesso per il caos che c’è nelle strade. Uno inizia a temere che potrebbe essere il suo stesso vicino a ucciderlo, ed è qualcosa di molto peggio rispetto a morire per un bombardamento israeliano».

La tensione resta palpabile anche mentre le autorità americane stanno facendo visita alla regione. In riferimento alle operazioni di sicurezza in corso a Gaza, durante una conferenza stampa nel suo viaggio verso Israele il presidente Donald Trump ha detto: «Abbiamo dato a Hamas un’autorizzazione temporanea per ripristinare l’ordine a Gaza rispetto alla criminalità e al caos». Questa mattina, Gaza ha atteso anche l’arrivo dei prigionieri palestinesi appena liberati e trasportati dalla Croce Rossa a bordo di autobus diretti al Nasser Hospital di Khan Younis nell’ambito dell’accordo per lo scambio tra ostaggi e prigionieri, mentre dall’Italia arrivava la notizia che Saed, figlio di un prigioniero, ricoverato all’Umberto I per un tumore, era appena morto.

I festeggiamenti per la liberazione sono stati contenuti. «Non c’è gioia, oggi» dice Mohammed Ramadan, venditore ambulante di 26 anni. «La liberazione dei prigionieri è arrivata a spese di sessantamila morti e di decine di migliaia di persone scomparse. Come può essere uno scambio equo?». In ogni caso, per alcuni l’uscita dalla prigione è una vera liberazione. Hassna Abu Shawish, del campo di Nuseirat, ha atteso con trepidazione dolce-amara la liberazione del figlio. «Sono felice che Mohammed finalmente torni a casa. Dopo tanta morte e devastazione, rivederlo è una piccola vittoria».

Altri, invece, non riescono a provare questa stessa sensazione di speranza. Hussein Abed, di Gaza City, si rifiuta di festeggiare. «Odio la libertà che è costata la vita ai miei figli» dice con le lacrime agli occhi. «I miei piccoli, Jouri e Ubaid, sono rimasti uccisi sotto le macerie nel luglio 2024. Nessuna fine della guerra, nessuna liberazione di prigionieri potrà mai restituirmeli».

Oggi Gaza si trova a un bivio assai fragile tra il breve respiro di una ripresa economica e l’incombente ombra del caos interno. Per il suo popolo stremato, la questione non è più se verrà la pace, ma se la società riuscirà a sopravvivere.

Traduzione di Anna Bissanti

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