Fonte: i gessetti di Sylos
Si scrive “burocrazia” ma si legge “corruzione”
Non passa giorno che sui giornali non si legga che questo e quell’altro investimento è bloccato “per colpa della burocrazia”. Facciamo subito un’affermazione di principio in cui crediamo: la burocrazia è quella che la politica vuole che sia.
In un sistema politico-affaristico profondamente corrotto quale è quello italiano, una burocrazia riformata ed efficiente costituirebbe un intralcio enorme e pericoloso, e quindi è meglio renderla sempre più inefficiente e farraginosa. Anzi, tutte le complicazioni e i passaggi “burocratici” di volta in volta inseriti – ripeto: dalla politica – sono solo funzionali alla logica spartitoria, perché ognuno di essi rappresenta un’utile pausa di “riflessione” necessaria per verificare che la spartizione prosegua nel modo programmato, oppure per far entrare qualche altro soggetto nella spartizione medesima, perché bisogna coinvolgere qualche altra entità, all’inizio non considerata, nello svolgimento dei lavori, o nella procedura dei pagamenti. Tempo fa scrissi un “gessetto” che dimostrava matematicamente come potesse accadere che il costo di un’opera importante alla fine risultasse un multiplo del costo normale: ciò era dovuto proprio al fatto che nelle diverse fasi della realizzazione venivano coinvolti sempre più soggetti politici.
Ricordo che quando anni fa accadde quel terribile incidente ferroviario in Puglia che costò la vita a decine di persone, si diede la colpa alla solita “burocrazia” che aveva bloccato l’investimento in sicurezza che l’avrebbe evitato, pur essendo stati stanziati i relativi fondi. L’allora presidente dell’Anac, Cantone, fece invece notare che anche lì c’entrava la corruzione. Cosa voleva dire il magistrato? Evidentemente che i fondi erano bloccati perché non si mettevano d’accordo i politici locali sulla spartizione del “bottino”.
(Poi, in generale, c’è anche la corruzione del funzionario, ma anche questa non viene combattuta seriamente in ossequio al principio diffuso in Italia del “vivi e lascia vivere”).
Oggi l’argomento torna d’attualità perché c’è tutto un pullulare di idee e proposte su chi debba “gestire” i fondi che arriveranno dall’Ue: task force, cabina di regia, commissione bicamerale, ecc. ecc., ovviamente tutte con il coinvolgimento di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione. Che bisogno c’è di tutte queste ulteriori figure istituzionali che rappresenterebbero ulteriori passaggi e stop “burocratici”? Oltre tutto il Parlamento e le forze politiche hanno già il loro strumento per partecipare al dibattito: l’approvazione della legge di bilancio annuale, dove devono per forza confluire le previsioni di spesa a qualsiasi titolo. E allora la risposta mi sembra solo una: quelle ulteriori complicazioni burocratiche (volute, ripeto ancora, sempre dalla “politica” e non piovute da altri pianeti) servirebbero solo a fissare momenti di “riflessione” nella spartizione degli appalti e dei soldi; del futuro dell’Italia e delle prossime generazioni non importa nulla a nessuno di quelli che adesso sbraitano sull’esigenza di “partecipazione” all’elaborazione dei progetti.
Questo modo di affrontare la questione rischia di confermare i sospetti di certa parte dell’opinione pubblica straniera. Ho letto che su un giornale olandese nei giorni scorsi è apparsa una vignetta dove compariva Conte, un porporato e un mafioso. Quest’ultimo, con riferimento ai fondi Ue, diceva agli altri due: “il 40% a noi, il 50% a voi, e il 10% alla popolazione”. Ecco cosa pensa l’opinione pubblica straniera di noi. Ma non solo quella. Lo storico inglese Paul Ginsborg, che ha scritto molto sull’Italia, in uno dei suoi libri (“L’Italia del tempo presente”, Einaudi 1998), parlando del fatto che il nostro paese aveva utilizzato poco i fondi europei, cosa che i nostri commentatori e politici ovviamente attribuiscono all’inefficienza della solita “burocrazia”, ecco cosa scrive: “Era meglio non avere finanziamenti che scatenare interferenze esterne (i controlli dell’Ue, nda), meglio restare esclusi dal flusso dei fondi comunitari che sconvolgere le clientele centro-periferia edificate con tanta cura” (pag. 456).
Dio non voglia che anche questa occasione (che peraltro deve essere confermata dai parlamenti nazionali, quindi il nostro comportamento attuale può risultare decisivo per le decisioni nazionali) venga sprecata, perché poi, va sempre ricordato, comunque i debiti restano, e averli accumulati per cose “diverse” dallo sviluppo sarebbe un crimine immenso.


