Storia della sanità nell’ Italia repubblicana (3)
Sanità in Italia (1978–1992): il Servizio Sanitario Nazionale prima dell’aziendalizzazione
di Mino Dentizzi
La svolta del 1978: un diritto universale
Con la Legge 23 dicembre 1978, n. 833 è stato istituito il servizio sanitario nazionale; con essa viene sancito il concetto di salute inteso come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Ma la nascita del servizio sanitario nazionale oltre che servizi essenziali e alla portata di tutti, ha prodotto anche complicanze negative, eppure quel 1978 permise davvero di elevare il concetto di salute verso obiettivi alti e raggiungibili da tutti i cittadini, italiani e n
Il Servizio Sanitario Nazionale divenne un modello assistenziale tuttora imitato e copiato in molti Stati del mondo, proprio perché permise – da un punto di vista economico – una razionalizzazione della spesa sanitaria (attraverso la programmazione come strumento di controllo dell’impiego delle risorse e l’istituzione di un fondo sanitario nazionale unitario), il recupero dell’efficienza nei servizi (aumentando la produttività), il tutto realizzando anche controlli economico-finanziari.
Già dai primi 2 articoli si nota l’inversione di tendenza rispetto al passato, visto che si parla dapprima della tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (universalità), attraverso la promozione, il mantenimento ed il recupero della salute fisica e psichica (globalità) di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino eguaglianza dei cittadini ed in seguito degli obiettivi attraverso i quali raggiungere i sopra elencati principi:
L’educazione sanitaria
La prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro
La riabilitazione degli stati di invalidità e inabilità somatica e psichica
L’igiene degli ambienti di vita e di lavoro
L’igiene degli alimenti
La formazione professionale
La sicurezza del lavoro, con la partecipazione dei lavoratori alle attività preventive
Le scelte responsabili e consapevoli di procreazione, compresa la tutela della maternità e dell’infanzia
La promozione della salute in età evolutiva
La tutela della salute degli anziani
La tutela della salute mentale
Si tratta senz’altro di progetti molto ambiziosi e complessi da realizzare, dispendiosi soprattutto da un punto di vista economico, tanto da dover richiedere una programmazione ben definita e “controllata”: l’articolo 3 determina, attraverso lo Stato (con il concorso delle Regioni), gli obiettivi della programmazione economica nazionale, fissando i livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere garantite a tutti i cittadini.
A garanzia di questa organizzazione centralizzata l’articolo 5 attribuisce le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle regioni in materia sanitaria ed economica allo Stato, mentre il successivo articolo 6 ne elenca le funzioni, tra le quali troviamo:
Assistenza sanitaria ai cittadini italiani all’estero e assistenza in Italia agli stranieri ed agli apolidi, nei limiti ed alle condizioni previste da impegni internazionali, avvalendosi dei presidi sanitari esistenti
Profilassi delle malattie infettive e diffusive, per le quali siano imposte le vaccinazioni obbligatorie
Prevenzione degli infortuni sul lavoro e malattie professionali
Istituto Superiore di Sanità
La fissazione dei requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori sanitari
Il riconoscimento e l’equiparazione dei servizi sanitari prestati in Italia e all’estero dagli operatori sanitari ai fini dell’ammissione ai concorsi e come titoli nei concorsi stessi
Gli ordini e i collegi professionali
L’organizzazione sanitaria militare
Piano sanitario nazionale
Sono molti i fronti sui quali il sistema salute deve programmare e pianificare le sue attività preventive e di cura, al fine di rispondere alle esigenze di una popolazione sempre più in crescita e bisognosa di assistenza. Al riguardo l’articolo 53 della legge 833, istituisce un Piano Sanitario Nazionale (della durata di 3 anni), con indicate le linee generali di indirizzo e le modalità di svolgimento delle attività istituzionali del SSN.
Tale piano viene predisposto dal Governo su proposta del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale; infine, per la sua messa in opera, è necessaria la approvazione del Parlamento. In seguito, le Regioni predispongono e approvano i propri piani sanitari regionali, tenendo chiaramente conto del sopra indicato riferimento nazionale.
Deleghe alle Regioni
Certamente non tutte le attività sono a carico e responsabilità dello Stato, visto che alcune di esse, attraverso l’articolo 7, vengono delegate alle Regioni, come ad esempio:
La realizzazione delle attività di profilassi elencate poc’anzi
Il controllo dell’idoneità dei locali ed attrezzature per il commercio e il deposito delle sostanze radioattive, compresa la verifica sulla radioattività ambientale
I controlli sulla produzione e sul commercio di prodotti dietetici, degli alimenti per la prima infanzia e la cosmesi
Ed anche da un punto di vista politico si assiste ad un decentramento dei poteri decisionali, tanto che il Sindaco, autorità sanitaria periferica, diviene componente dell’assemblea generale delle neonate Unità sanitarie locali (può, tra l’altro, disporre di applicare un trattamento sanitario obbligatorio – su proposta del medico) ed i comuni stessi acquisiscono tutte le funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera che non siano riservate allo Stato ed alle Regioni.
Altre innovazioni introdotte dalla legge 833/78
Superati gli aspetti economico/amministrativi, entriamo nel dettaglio delle innovazioni introdotte dalla riforma del 1978:
Nasce il Consiglio Sanitario Nazionale, con funzioni di consulenza per la determinazione delle linee generali di politica sanitaria nazionale e per l’elaborazione e l’attuazione del piano sanitario nazionale
L’Istituto Superiore di Sanità diventa organo tecnico-scientifico del SSN, fornendo attività di consulenza nelle materie di competenza dello Stato
Nascita delle Unità Sanitarie Locali. Si tratta del complesso dei presidi, uffici e servizi dei Comuni, singoli o associati, i quali in ambito territoriale determinato (dai 50.000 ai 200.000 abitanti), assolvono ai compiti del servizio sanitario nazionale:
Educazione sanitaria
Igiene dell’ambiente
Prevenzione individuale e collettiva delle malattie fisiche e psichiche
Protezione sanitaria materno-infantile, assistenza pediatrica e tutela del diritto alla procreazione cosciente e responsabile
Igiene e medicina scolastica negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado
Igiene e medicina del lavoro, prevenzione degli infortuni sul lavoro e malattie professionali
Medicina dello sport
Assistenza medico-generica e infermieristica, domiciliare e ambulatoriale
Assistenza medico-infermieristica per le malattie fisiche e psichiche
Riabilitazione
Assistenza farmaceutica e vigilanza sulle farmacie
Igiene della produzione, lavorazione e distribuzione e commercio degli alimenti e bevande. Concorrono al raggiungimento di tali obiettivi anche i distretti sanitari di base, ovvero strutture tecnico-funzionali grazie alle quali erogare servizi di primo livello e di pronto intervento
Si disegna di fatto un organigramma sviluppato su tre livelli:
Nazionale, composto da organi di indirizzo (Parlamento, Consiglio dei ministri, Ministero della sanità, che poi nel 2001 divenne della Salute, Comitato interministeriale per la programmazione economica), organi ausiliari tecnico-scientifici in grado di fornire consulenze e proposte (Consiglio Sanitario Nazionale, Istituto Superiore di Sanità, Istituto Superiore per la Prevenzione e sicurezza sul lavoro)
Regionale: per l’esercizio delle funzioni legislative in materia di assistenza sanitaria e per l’espletamento delle funzioni proprie o delegate dallo Stato
Locale, cui fanno parte i Comuni, le Associazioni dei Comuni e le Comunità Montane e i Distretti Sanitari di base
Senza dubbio un trasferimento così netto dei poteri gestionali dallo Stato ai comuni ha obbligato le stesse USL a dotarsi di una struttura e di un funzionamento adeguati rispetto alle attività che esse stesse avrebbero svolto. Vennero quindi individuati i seguenti organi:
Assemblea generale, costituita dal Consiglio comunale, se l’ambito territoriale delle USL coincideva con quello del Comune stesso, e dall’Assemblea generale dell’Associazione dei Comuni, se l’ambito territoriale coincideva con più Comuni;
Il Comitato di Gestione e il suo Presidente che, eletto dall’Assemblea generale, aveva il compito di compiere tutti gli atti amministrativi dell’USL, con la possibilità di eleggere al suo interno un presidente, depositario del potere di rappresentanza delle unità sanitarie locali
Il Collegio dei revisori, composto da tre membri, uno dei quali designato dal Ministro del Tesoro e uno dalla Regione
Gli anni Ottanta: un sistema in espansione
Il SSN produce effetti immediati e significativi:
La copertura sanitaria diventa realmente universale.
Si rafforzano le campagne di prevenzione e vaccinazione, con un calo della mortalità infantile: dal 18‰ nel 1978 a meno di 10‰ nel 1985.
L’aspettativa di vita supera i 75 anni a metà anni Ottanta.
Gli ospedali pubblici si consolidano come centri di cura e ricerca.
L’assistenza di base si rafforza grazie al ruolo crescente dei medici di famiglia.
Dati concreti
Posti letto (valori assoluti e per 1.000 abitanti)
Posti letto totali (Italia): 1980 ≈ 542.260 posti letto. Nel 1990 ≈ 410.026 posti letto.
Quindi, tra 1980 e 1990 si registra una riduzione significativa del numero di posti letto per acuti a livello nazionale.
Posti letto per 1.000 abitanti (trend): la dotazione per mille abitanti passò dai livelli elevati degli anni Settanta (intorno a 10–11/1000 negli anni ’70) a valori più bassi negli anni Ottanta (intorno a 8–9/1000), segno di un ridimensionamento della rete ospedaliera e di processi di razionalizzazione. I dati e le serie storiche sono disponibili nelle elaborazioni ISTAT sulle statistiche della sanità.
Numero di istituti di cura / ospedali
Numero strutture ospedaliere (trend di riduzione già prima della riforma aziendalizzatrice): le serie storiche ISTAT e lavori di ricostruzione storica mostrano una progressiva riduzione del numero di strutture tra gli anni ’70 e gli anni ’80 (si veda l’Annuario Statistico e le ricostruzioni storiche).
Mortalità infantile e indicatori demografici
Mortalità infantile: continuò la tendenza calante consolidata nei decenni precedenti. L’Istat documenta una discesa costante del tasso di mortalità infantile in tutto il periodo 1978–1992 (valori di riferimento: dal tasso più alto registrato nei decenni precedenti, nel corso degli anni Ottanta si scende sotto la soglia dei 10 per mille). Le analisi storiche ISTAT (rapporti su mortalità sotto i 5 anni e mortalità infantile) ricostruiscono il calo marcato avvenuto tra gli anni ’60–’80.
Le criticità del modello: limiti strutturali, gestionali e territoriali
Nonostante l’indiscutibile avanzamento sul piano dei diritti e dell’universalità dell’accesso, il modello del SSN mostra sin da subito alcune debolezze che ne compromettono l’efficienza e la sostenibilità nel medio periodo.
Struttura organizzativa debole e frammentata
Le Unità Sanitarie Locali (USL), pensate come enti territoriali di prossimità, risultano spesso troppo piccole per gestire in modo efficace l’intera gamma di servizi sanitari.
Il legame diretto con i Comuni e la forte influenza della politica locale generano interferenze gestionali, con nomine e decisioni non sempre basate su criteri tecnico-professionali.
La mancanza di una visione manageriale e di strumenti di controllo interno porta a una gestione poco orientata alla performance e alla razionalizzazione delle risorse.
Crescita incontrollata della spesa sanitaria
La spesa sanitaria pubblica passa da circa 5% del PIL nel 1978 a oltre 7% a metà anni Ottanta, con un incremento pro-capite di oltre il 50% tra 1985 e 1991.
Questo aumento è dovuto a diversi fattori:
Invecchiamento della popolazione, con conseguente aumento della domanda di cure croniche e riabilitative.
Espansione delle tecnologie mediche e dei farmaci innovativi, spesso costosi.
Sovrapposizione dell’offerta sanitaria: in alcune aree si registrano strutture ridondanti e reparti sottoutilizzati.
L’assenza di meccanismi di valutazione costi-benefici e di budget vincolanti contribuisce a fenomeni di spreco e disequilibrio finanziario.
Disparità territoriali persistenti
Nonostante il principio di uguaglianza, permangono forti differenze tra Nord e Sud:
Liste d’attesa più lunghe e accesso limitato ai servizi specialistici in molte aree meridionali.
Qualità delle strutture ospedaliere e dotazione tecnologica non omogenea.
Distribuzione diseguale del personale sanitario, con carenze in alcune zone rurali o periferiche.
Queste disparità generano inequità di fatto, minando il principio di equità su cui si fonda il SSN.
Sprechi, clientelismo e inefficienze locali
In assenza di controlli rigorosi, si diffondono pratiche di clientelismo, con assunzioni e nomine non meritocratiche.
Alcune USL diventano centri di potere locale, più attenti alla logica elettorale che alla qualità dei servizi.
La duplicazione di funzioni, la scarsa informatizzazione e la mancanza di coordinamento tra livelli istituzionali aggravano la dispersione delle risorse.
Conseguenze sistemiche
Le tensioni finanziarie e gestionali rendono evidente la necessità di una riforma strutturale.
Si avverte l’urgenza di separare la gestione dalla politica, introdurre criteri manageriali, e contenere la spesa senza compromettere la qualità dell’assistenza.
La riforma De Lorenzo (1992) e l’aziendalizzazione delle USL
Con il decreto legislativo 502/1992, emanato dal ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, le USL vennero trasformate in aziende sanitarie locali.
Questa riforma, poi corretta dal decreto Garavaglia (517/1993), introdusse concetti nuovi:
Aziendalizzazione: le USL diventano enti dotati di autonomia imprenditoriale, con bilanci propri e un direttore generale nominato dalle Regioni.
Separazione tra politica e gestione: gli enti locali perdono il controllo diretto sulle strutture sanitarie, sostituito da un modello manageriale.
Libertà di scelta del cittadino: possibilità di rivolgersi a strutture pubbliche o private accreditate.
Sistema di accreditamento e convenzioni: apertura al privato, regolato però dal finanziamento pubblico.
L’obiettivo era contenere i costi, migliorare l’efficienza e responsabilizzare le strutture.
Conclusione
Dal 1978 al 1992 la sanità italiana passò da un sistema mutualistico frammentato a un modello universale e pubblico con il SSN, che garantì diritti di salute a tutti. Ma la gestione delle USL mostrò limiti organizzativi ed economici: l’esplosione della spesa sanitaria rese inevitabile una riforma. Con i decreti del 1992-93, il sistema entrò in una nuova fase, quella dell’aziendalizzazione, che avrebbe cambiato radicalmente il volto della sanità negli anni successivi.


