Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Il treno della notte, la folla e i ladri
Un sociologo per default
Ogni volta che uno mi chiedeva cosa facessi nella vita, in quale università insegnassi, quale alto incarico ricoprissi ecc. ecc. (e chissà perchè erano sempre posizioni eminenti), io rispondevo: ‘sociologo’ impiegato nella Provincia di Bologna. E la risposta appagava all’istante l’interrogante assieme ad una imbarazzata delusione. “Ah sì, bello. Molto interessante”. Per essere certificati sociologi, infatti, non occorrono grandi spiegazioni nè esami di stato. Il sociologo è un non so chè, un tot, un pressapoco, sul quale tutti sono più o meno d’accordo. E che può condire qualsivoglia portata. Una dichiarazione in argomento taglia sempre la testa al toro. Il sociologo è ovunque e da nessuna parte e la sua disciplina, malgrado tutti gli sforzi, resta sempre gravata da una insostenibile leggerezza epistemologica. Son chiacchere erette a sistema, insomma. E va da sè che essendo l’uomo una creatura sociale che parla fare della sociologia è una necessità che obbliga chiunque come l’andar di corpo. Dunque un consiglio. Se non fate un mestiere certo, anche se desueto, come l’edile, il dentista, il tornitore, il taglialegna, il rilegatore, il chimico ecc., e non sapete definirvi altrimenti, fatevi passare per sociologi. E’ come un passepartout che vi aprirà come per incanto tutte le camere d’albergo.
Hobsbawn volle che la sua epigrafe non fosse altro che: “storico”. Posso io chiamarmi “foto sociologo” senza che Eric si offenda ? Certo approfittando di quel lasco statuto nomotetico. E da vivo. Anfratti, interstizi ed altre intermittenze. Su questa percorrenza che scarica gente fino a Milano. Anche, necessariamente, una selfie-sociologia, della quale, peraltro, già Simmel fu maestro incommensurabile. Dicono che bastasse offrirgli un posto a sedere che subito era capace di offrire saggi spettacolari di sociologia della seggiola e della postura umana nell’atto stesso di accomodarsi. E qui l’album va a cominciare.
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L’internet point carovaniero
Ipod, pc, cellulari. Il treno che una volta era il regno della carta, delle cartacce e dei cartocci, una risma viaggiante, con la cadenza di un ciclostile, oggi è il letto di una solitaria masturbazione digitale. Cioe un internet point lanciato nel buio.Talvolta le creature più fragili si accasciano nel nirvana rem (come questa ragazza con la valigia). Quasi nessuno parla. Il pendolare infra metropolitano sulla tratta verso casa (tratta lunga, in tal caso) è un essere silente, al massimo bisbigliante. L’unico dialogo afferrato, tuttavia, è di grande interesse. Un anziano signore illustra a una signora assai presa i metodi di lavorazione del grana padano biologico e lo spirito teutonico dei trentini. Il nesso è ardito. Deve avere a che fare con l’immanenza dell’ordine. Infatti l’uomo è un modenese. E’ piacevole scivolare accanto agli umani. Come l’angelo malinconico in quel film di Wenders.
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La rivoluzione sonora dell’I-Phone
Il treno ‘silente’ è accusato da alcuni come una perdita di socialità. In effetti la chat, cioè la scrittura ha soppiantato la voce. Dopo che il telefono aveva ucciso il mondo epistolare. Chi l’avrebbe mai detto ? Certo una scrittura sulla sabbia del web, anzichè sulla carta. Scrittura a perdere, senza traccia, che non si può impilare, legare con un nastrino e chiudere in un cassetto o una scatola da scarpe. Per la gioia (o la sventura) di chi vi metterà l’occhio post-mortem (storici, biografi, coniugi, parenti, altri ficcanaso). Scripta volant dunque. Però scrittura. Un vero e proprio macro-feuilleton autoprodotto in tempo reale, e perennemente distrutto e ricreato, dal corpo sociale tutto intero. Sullo spartito digitale. Una società di pianisti silenziosi, ognuno isolato nella propria monade affettiva-relazionale. La nuova situazione (che per me è anche un progresso, in realtà) è stata creata col passaggio alle mirabilie digitali dell’I-Phone. Le quali non è che abbiano sostituito un mondo di irenica e vociante convivialità. Bensì convogli trasformatisi in piazze urlanti di pazzi scriteriati attaccati ai cellularti della precedente generazione tecnologica. Una forma di maleducazione di massa che trasformava il viaggio in treno (soprattutto per le creature riflessive orientate al sonno, alla lettura, alla contemplazione e alla rimuginazione, cioè quelle capaci di trasformare, rovesciandoli, i faux frais obbligatori del tempo transazionale in spazio-tempo liberato ‘per sè’) in un vero e proprio supplizio. Pari alla sventura di avere vicini di casa che litigano e si picchiano. L’I-Phone ha messo per incanto a tacere questi ‘urlatori’ di facezie e restituito gli individui a un solipsismo silenzioso. Decisamente un progresso. Per il resto la distruzione di capitale sociale-relazionale vis à vis operata dai nuovi media tecnologici era già stata consumata.
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Ladri di telefonini
Mi avevano detto che sull’ultima corsa mittelpadana si potevano fare brutti incontri. Invece dormivano quasi tutti, tanto che a un certo punto mi sono abbandonato nelle braccia di morfeo. Non c’è nulla di più rilassante che il dondolio del treno unito al tepore di una giovane e compassionevole collega che accetta maternamente di offrire al tuo orecchio la ritmica masticazione di una caramella (non so perchè ma gli stessi suoni possono indurmi alla beatitudine ipnotica o all’omicidio….). Perciò un convoglio ronzante, una lunga culla adagiata nella notte. Accogliente come un’amaca e con bagni così puliti, rassicuranti e tecnologicamente igienizzati da far venir voglia di frequentarli in pigiama, vestaglia di seta e pantofole come nelle migliori suites. Verso le due dunque scendo dal treno di Tper ben rincoglionito, coi questionari nella sporta. Attraverso Piazza Medaglie d’oro e mi trascino per Via Indipendenza. Esercizi chiusi e radi passanti. All’altezza di Largo Respighi invece c’è animazione, che cresce geometricamente inoltrandosi in Via delle Moline sino a trasformarsi in un muro umano quasi impenetrabile. Sono migliaia e migliaia di giovani under 25 (si direbbe) suddivisi in crocchi addossati e intersecati gli uni con gli altri, in un vocio spaventoso. Studenti sicuramente, ma anche bande etniche e una svariata schiuma umana di etilici ed énragées veri o presunti. I più infatti, le ragazze soprattutto, sono agghindati da movida. Ci si può fare largo solo a forza ricavando stretti pertugi nella calca. E’ uno tsunami antropico, un grande serpente a due code, o una piovra gigante, la cui testa brachicefala è in Piazza Verdi e gli arti cono costipati in Via delle Moline e Giuseppe Petroni e nei vicoli adiacenti, fino a Piazza Aldrovandi. A tutti gli effetti una ‘formazione di massa’, notturna e giovanile. Questi gli attributi. Da dove diavolo origina ? Cos’ha in corpo ? Ora noi sappiamo, passando da Le Bon a Canetti, che la formazione di massa è innata nel comportamento etologico dell’animale umano. E che se tra la folla e la follia c’è una relazione che si palesa in certe coincidenze catastrofiche, rivelando un legame psichico nevrotico che nella normalità è nascosto, nella formazione di massa si concatenano sequenze ben strutturate. Il movente immediato che l’aduna, la transustanziazione della spinta regressiva in una personalità collettiva, un telos trascendente cui finalizzare l’energia. La mia opinione – di vecchio lanuginoso – è che il movente specifico di questa imberbe umanità sia la balordaggine. Una massa balorda, come si vede bene nei selfie con quelle lingue e quelle smorfie tutte uguali. Regressiva e adolescenziale. Cioè priva di altro scopo. Un asilo nido privo di istruttori e regole. Una libertà sadico-anale, nella quale il movente (trovarsi in vasta mandria) coincide col fine (rispecchiare il sè regredito nella mandria medesima, come un vitello idiota). E va da sè che non c’è alcuna transustanziazione. Sicchè non c’è neanche lo sciogliersi dell’individuo in una personalità collettiva. In questa massa non ci sente fratelli, ma vitelli.
Se volete, torneremo sull’argomento. Perchè ora urge arrivare all’evento occorso attraversando questa mandria di idioti stipati in quel loro paese dei balocchi che è diventato un inferno perenne per i residenti di una vasta zona. Arrivo dunque alla metà di Giuseppe Petroni dove la coltre degli scimuniti è così densa che non si passa. Mi metto perciò al seguito di una piccola disabile che viaggia con una di quelle seggioline mobili in solitudine, come fossi l’accompagnatore. Accade allora che un branco si apre e subito approfitto della ‘gentilezza’. Senonchè avverto un urto insolito. Con un lampo di sesto senso del quale ancora mi stupisco (perchè ho spesso la testa nelle nuvole) reagisco allo scarto e metto l’occhio sul taschino della giacca dove tengo il nuovo Galaxy appena consegnatomi via Amazon. E non c’è più. Ma stranamente invece di farmi prendere dal panico mi avvento sull’umanoide più prossimo. Non ho alcuna certezza sia il reo, ma lo prendo alla gola. Per default. E’ un giovane magrebhino, ben vestito, vagamente Hip Hop, sicuramente un residente nativo di nuova generazione, cioè un figlio di immigrati, e gli vomito sull’orecchio facendo mostra di volerlo mozzare: “ridammi il cellulare, bastardo !”. Come per miracolo costui si piega, lo raccoglie (il mio telefonino) fra i piedi dei compari fra i quali è caduto e me lo consegna con un sorriso compiacente, come a chiedere di ringraziarlo per avermi fatto un favore. Me lo riprendo e mi allontano senza proferire parola. L’adrenalina è subito rientrata appena riavuto l’oggetto. Ed ecco, d’amblé, sovvenirmi un’analisi. Penso che quel comportamento sia tipico della balordaggine: la levità con la quale si può trasformare il delitto in uno scherzo innocente e infantile. Che è la stessa con cui, all’altro polo, analoga balorda levità può trasformare un gioco in un delitto tragico.
Può un cellulare essere la posta di una tragedia ? Come le biciclette, gli accendini e le penne biro, il cellulare è uno di quei beni ormai quasi privi di valore venale. Puri oggetti d’uso che non fungono più da ‘riserva di valore’ e come tali possono trasferirsi da una mano all’altra. Per furto o per caso, persino inavvertitamente. Le nostre tasche possono essere piene/vuote di accendini senza che neppure ce ne accorgiamo. Come le cantine di biciclette e i cassetti di cellulari. Aspetto che origina da varie circostanze: l’illimitata riproducibilità e/o la rapidissima obsolescenza, il prezzo al ribasso, la mobilità/trasportabilità come accessorio personale, e, naturalmente, la balordaggine dilagante, ma soprattutto la sua ostinazione a catapultarsi su piccole merci-feticcio. In fondo redimendole come valori di scambio. Ma il telefonino ha qualcosa che lo distingue dai beni consimili. E’ diventato la memoria e il contenitore della nostra identità, intima e relazionale: pensieri, agende, incontri, sms amorosi, immagini (nel mio caso quelle che avevo appena scattato e che qui ripropongo). Una sottrazione può rivelarsi una catastrofe identitaria e comunicativa. Un perdersi cosi lancinante da indurre al delitto. Come accade in un piu famoso ladri di biciclette. Eventualità che il balordo, preso nella sua stupida levità. non riesce neppure a concepire. L’avrei volentieri ucciso, quel balordo. Per questo sono andato a letto tranquillo. Come un lupo.
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Aure dell’anima
Cercare voci dell’aldila’ alla stazione, random, su remote frequenze notturne.
Un altro dei vantaggi dell’I-Phone. Possiamo catturare di nascosto le immagini dei nostri simili. Di più: la loro stessa anima. Che è una luce che emana dai corpi quando sono riavvicinati a distanza, grazie alla sgranatura, e con gli effetti prodotti dalle luci artificiali. Sono gli stessi risultati cui arrivano quei medium che si sintonizzano sui rumori di fondo nei vuoti delle frequenze radio per decrittare messaggi dall’aldilà. Sotto questo profilo, e trattata con questa tecnica peraltro assolutamente ‘naturale’, reputo la foto della ragazza con la valigia rossa assopita sul treno della notte come il mio primo capolavoro fotografico. Per questo l’ho messa nel profilo e ce la terrò a lungo. Amo la sua anima e continuamente immagino di baciarla. Per quanto ad alcuni la cosa possa apparire necrofila, non farò nulla per destarla.
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Colonne sonore (Johnny Cash, Tom Waits)


