Votare Mattarella a sua insaputa. Come capitò in quel noto incidente immobiliare pro Scajola, degna di quel teatro dell’assurdo che è diventata la politica italiana.

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Todos caballeros (locos)
Votare Mattarella a sua insaputa. Come capitò in quel noto incidente immobiliare pro Scajola. Una soluzione alla Jonesco, degna di quel teatro dell’assurdo che è diventata la politica italiana.
Conte non cedette le armi a una ‘crisi di sistema’. Ma per un colpo di mano. Il prolasso parlamentare non ha alcuna profonda ragione strutturale, se non l’inquinamento disseminato da Renzi nel corso della sua ritirata. La ‘maggioranza di unità nazionale’ non esiste, nè mai è esistita. Essendo stata adunata obtorto collo da Mattarella. A tenerla insieme è il mandato presidenziale. Non il prestigio di Draghi. Tolto il tassello base la maionese è impazzita. Di necessità. E non credo proprio che Mattarella ignorasse il suo ruolo in tutta la faccenda, come scajola in quella transazione negletta.
Nella sua disperata e onnipotente ascesa al Colle Draghi è finito nella terra di nessuno, tanto che la sua salvezza, almeno come capo pro-tempore del governo, come quella del soldato Ryan, è diventata una missione. Potremmo considerare la questione come una prova della dismisura che incorre fra la grandezza del personaggio e la piccolezza (nonchè grettezza) del paese beneficiario. M è’ stupefacente la prova di dilettantismo psicologico cui si è esposto dichiarando il proprio ‘desiderio’. Sebbene il pensiero manageriale sia ben avveduto delle regole tratte dalla psicologia barocca di Baltasar Gracian e del bolognese Virgilio Malvezzi (nel cui palazzo chi scrive ha soggiornato per un quarantennio): prima regola scrutare la passione altrui e dissimulare la propria.
La sindrome bramosa di Draghi è la stessa che tuttora pervade il ‘mondo draghista: wishful thinking, il pio desiderio che alla fine le cose si mettano come agognate. L’analisi logico-razionale mi porta invece a pensare ad altro.
Mattarella ha alle spalle una carriera onorata da docente e buon politicante, come tale una personalità anni luce dalla rifulgente tecnicità dell’economista abile a destreggiarsi nel teatro dell’economia globale, delle potenze di Stato e delle macro decisioni. Tuttavia la marmorizzazione presidenziale, con il distanziamento riflessivo che comporta rispetto al tumulto degli avvenimenti, deve avere sviluppato sino alla estrema raffinatezza doti intrinseche alla cultura regionale dalla quale proviene. Vicina come poche altre alla sensibilità barocca, intimamente consapevole della dissimulazione (onesta, ma al caso omertosa) come involucro essenziale nell’esercizio del potere.
“Far da sè tutto ciò che è favorevole; tutto ciò che è odioso per mezzo di terze persone” Nessuno mi toglie dalla mente che quella terza persona, come icasticamente fissata in una delle massime di Baltasar, fosse Matteo Renzi.
Non è poi così stupefacente che dopo tanti proclamati divieti davanti ad osannanti folle stipate alla Scala, adesso che foltissimi stuoli di grandi elettori ne imprimono il nome sulla scheda taccia.
Come ha detto Letta potrebbe essere questa la scelta che rende tutti vincitori, quindi perdenti.
Mattarella come Napoleone, issato sulle baionette dei peones adunati a Montecitorio. Tutt’altro che la processione in gramaglie che assecondò il richiamo di Napolitano.
Cose dell’altro mondo, ai confini del genio e della stupida follia. Una crisi di nervi prima che di sistema.
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