Zelensky: “Sono grato all’Italia che si è schierata al nostro fianco, sia politicamente che con le armi”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Tiziana Ferrario / Ilario Lombardo - redazione Avvenire
Fonte: La Stampa - Avvenire

Zelensky: “Sono grato all’Italia che si è schierata al nostro fianco, sia politicamente che con le armi”
Il video del “ringraziamento” di Zelensky, l’articolo di Ilario Lombardo e la spiegazione di Gaetano Azzariti sul testo della nostra Costituzione sulla guerra. Un punto di vista molto utile su cui riflettere in questi giorni di ricordo del 25 aprile.  

Video

Ilario Lombardo per “La Stampa”

Sono spiragli, piccole sensazioni, tentativi di andare oltre il nichilismo della guerra. Niente su cui fondare la certezza di una tregua da qui a poco ma nel governo italiano la macchina della diplomazia ha ripreso a dare qualche segnale di speranza. I contatti con la Turchia, che vuole organizzare una conferenza di pace e cerca di ritagliarsi il ruolo da regista, sono costanti.

Tra qualche giorno è previsto un vertice a Roma tra i ministri degli Esteri Luigi Di Maio e Mevlüt Çavusoglu.  Altre volte questi incontri hanno preparato il terreno per colloqui a livello più alto, tra il premier Mario Draghi e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.  Non ci sono conferme in tal senso, ma nulla viene escluso dalle fonti diplomatiche. Ankara punta a coinvolgere l’Italia, per intavolare un negoziato più credibile tra Russia e Ucraina, e per tentare di svincolare l’Ue dalla strategia di Stati Uniti e Regno Unito.

mario draghi e luigi di maio alla cameraMARIO DRAGHI E LUIGI DI MAIO ALLA CAMERA

È un gioco di sponda che secondo Di Maio può dare i suoi frutti, se il presupposto resta l’asse atlantico: la Turchia è il solo Paese Nato che in queste settimane ha mantenuto un rapporto decente con Vladimir Putin, mentre l’Italia continua a essere citata tra i possibili mediatori graditi a Mosca e a Kiev. A tal proposito, Di Maio intervenendo ieri al congresso di Articolo Uno ha ribadito che «per consenso di tutte e due le parti, saremo uno dei Paesi garanti dell’accordo di sicurezza e neutralità dell’Ucraina».

GIORGIO STARACEGIORGIO STARACE

Non è un caso che il ministro abbia ritirato fuori proprio ora la possibilità rivelata da Draghi poche settimane fa. Ieri mattina, alla Farnesina, c’è stata una riunione tra Di Maio e, in collegamento, gli ambasciatori italiani in Ucraina e in Russia, Pier Francesco Zazo e Giorgio Starace.

È quest’ ultimo a tenere aperto un canale di comunicazione con il Cremlino, e ad aver ricevuto l’avviso che a giorni, dopo il 25 aprile, saranno espulsi dalla Russia trenta funzionari italiani con passaporto diplomatico o di servizio. «L’adeguata risposta» che Mosca aveva annunciato il 6 aprile, dopo l’espulsione dall’Italia dello stesso numero di diplomatici russi.

Una classica dinamica di tensione tra vecchi amici travolti dalla guerra. Le premesse per un negoziato però devono essere fondate su un paio di condizioni chiare: Putin deve ordinare il cessate il fuoco e i Paesi dell’Occidente non risparmieranno a Mosca le indagini sui crimini di guerra, per i massacri dei civili a Bucha, a Mariupol o altrove. Così ieri Di Maio ha comunicato all’ambasciatore Zazo l’arrivo a Kiev di una decina di esperti – forensi, medici legali, analisti e studiosi di balistica – «per supportare la corte internazionale» e la procura generale ucraina che sta raccogliendo le prove sulle mattanze dell’esercito di Mosca.

volodymyr zelensky conferenza stampa nella metropolitana di kiev 1VOLODYMYR ZELENSKY CONFERENZA STAMPA NELLA METROPOLITANA DI KIEV 

L’Italia resta un arbitro utile per entrambe le parti in conflitto ed è con questo passaporto riconosciuto di potenziale mediatore che Draghi andrà a Kiev. «Lo aspettiamo» sono state le parole ieri del presidente Volodymyr Zelensky, suonate come un incoraggiamento: «Sono grato all’Italia che si è schierata al nostro fianco sia politicamente che con le armi».

Per il momento non ci sono novità sul viaggio. Draghi è tuttora positivo al Covid e dovrà passare ancora qualche giorno prima di capire in quale data organizzare la trasferta. Nella capitale ucraina il premier cercherà di capire quale sia la reale volontà di Zelensky. Se vuole continuare a ricevere armi, a rinforzare la resistenza, senza cedere un centimetro a Putin. Oppure se intenda considerare la possibilità di una trattativa, con quali paletti e con quali concessioni. Due giorni fa il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha confermato che la Russia non è contraria ai Paesi garanti proposti da Kiev.

mario draghiMARIO DRAGHI

L’Italia è tra questi e Draghi ha già chiarito che potrebbe avere un ruolo nella definizione di integrità dell’assetto territoriale che uscirà da una eventuale conferenza di pace. Ma sono molti i passaggi che devono essere consumati. Per esempio: Zelensky chiederà a Draghi di non opporsi, come accusa la Germania di fare, all’embargo sul gas russo?

putin zelenskyPUTIN ZELENSKY

Per l’Italia è una prospettiva concreta e non entusiasmante, che costringe il governo a cercare nuove forniture. Anche con regimi con cui i conti sono tuttora aperti. Come l’Egitto, che può garantire a Eni fino 3 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto, mentre continua a dare copertura ai responsabili della morte di Giulio Regeni. «E’ un accordo tra aziende» ha svicolato ieri Di Maio alla domanda sull’opportunità dell’accordo. Un’acrobazia con cui il governo prova a giustificare questo cedimento in nome dell’approvvigionamento energetico.

volodymyr zelensky conferenza stampa nella metropolitana di kiev 7VOLODYMYR ZELENSKY CONFERENZA STAMPA NELLA METROPOLITANA DI KIEV 

«La Costituzione non legittima il nostro invio di armi in Ucraina»

di Tiziana Ferrario

Interessante riflessione di Gaetano Azzariti, docente di Diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma, su cosa dice la nostra Costituzione sulla guerra. Abbiamo ascoltato varie interpretazioni dell’art.11 e degli altri articoli 52 e 78 da parte di esperti schierati a favore dell’invio di armi. Azzariti spiega al quotidiano Avvenire che L’articolo 52 parla del diritto di difesa della propria patria, il 78 dà una centralità al Parlamento nel deliberare lo stato di guerra, «conferendo al Governo i poteri necessari», e c’è poi il ruolo di garanzia del capo dello Stato nell’articolo 87. Infine il 60 prevede la proroga delle Camere in caso di guerra. “Ma tutti riguardano una guerra chiaramente difensiva. Presuppongono due condizioni che non ci sono. La prima è la difesa del nostro territorio, la seconda la proclamazione dello stato di guerra che non c’è stata, per fortuna, e nessuno auspica. Non vedo possibile applicare questi criteri, per analogia, al caso ucraino. “
Questo mi pare un punto di vista molto utile da portare al tavolo delle conversazioni di questi giorni

«La Costituzione non legittima il nostro invio di armi in Ucraina» su Avvenire

«Dalla guerra si esce investendo sulla pace, non finanziando la guerra». Gaetano Azzariti, docente di Diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma, indica in una grande conferenza di pace l’unica via d’uscita dal conflitto, «nello spirito di Helsinki », la conferenza del 1975 convocata per superare la logica dei blocchi.

Come giudica le scelte dell’Italia?

Non vedo alcun aggancio costituzionale che giustifichi la partecipazione in diverse forme al conflitto ucraino, tanto meno attraverso la fornitura di armi.

Sull’articolo 11 ci sono diverse interpretazioni.

È chiaramente finalizzato alla pace, al ripudio della guerra, e anche le limitazioni di sovranità che prevede sono funzionali, basta leggersi gli atti dell’Assemblea costituente, a perseguire la pace fra le nazioni, quindi vanno riferite all’Onu, e non anche alla Nato, che non esisteva ancora e ha in ogni caso una finalità diverse, di tipo difensivo. Queste cessioni di sovranità vanno interpretate alla luce dello Statuto dell’Onu.

Altri articoli prevedono, in alcuni casi, la guerra, si obietta.

L’articolo 52 parla del diritto di difesa della propria patria, il 78 dà una centralità al Parlamento nel deliberare lo stato di guerra, «conferendo al Governo i poteri necessari», e c’è poi il ruolo di garanzia del capo dello Stato nell’articolo 87. Infine il 60 prevede la proroga delle Camere in caso di guerra. Ma tutti riguardano una guerra chiaramente difensiva. Presuppongono due condizioni che non ci sono. La pri- ma è la difesa del nostro territorio, la seconda la proclamazione dello stato di guerra che non c’è stata, per fortuna, e nessuno auspica. Non vedo possibile applicare questi criteri, per analogia, al caso ucraino.

Siamo in guerra, secondo lei?

Non l’abbiamo deliberato e dunque non lo siamo, anche se il concetto di guerra sta cambiando. Persino Putin afferma che la sua non è una guerra, ma un intervento di «polizia speciale», il che è falso. Ma mi sembra anche un po’ ipocrita, francamente, che si sia parlato di interventi umanitari in relazione al Kosovo o alla prima e seconda Guerra del Golfo. La verità è che, ormai, le guerre non si dichiarano più.

E dallo Statuto Onu che cosa emerge?

La responsabilità della guerra è da attribuire alla Russia, in base all’articolo 2 quarto comma, mentre l’articolo 51 indica come legittima la resistenza ucraina, in base al principio di autotutela. Ma queste disposizioni non riguardano le nazioni non belligeranti.

E che cosa si può fare, allora?

Gli articoli 51 e 54 impongono di dar luogo a «iniziative straordinarie» che siano «finalizzate alla pace e alla sicurezza internazionale» e a cercare una «soluzione pacifica». L’obbligo della altre nazioni non è di far proseguire la guerra, ma di mettere in atto iniziative politiche e diplomatiche per farla cessare.

Le iniziative di pace sembrano invece esaurite.

Ci sono tante iniziative a sostegno della legittima resistenza ucraina, ma vedo una totale assenza sul fronte principale, indicato dall’Onu. Non si può pensare che la pace la siglino l’aggredito e l’aggressore. Al massimo si conseguirà una resa, più o meno onorevole per l’aggredito, senza nessuna prospettiva duratura, in un contesto che continuerà ad essere di insicurezza internazionale.

Che strada indica?

Una conferenza internazionale che includa tendenzialmente tutti gli Stati del mondo. L’assemblea dell’Onu ha aggregato ben 140-141 Stati in diverse deliberazioni per far cessare il conflitto, da lì bisogna ripartire. Non può essere uno Stato retto peraltro da un autocrate, come la Turchia, a portare avanti le ragioni della pace e proporsi come mediatore. Così non se ne uscirà mai. Bisogna fare i conti con i nuovi equilibri geopolitici. L’aumento delle spese militari, il rafforzamento della Nato porteranno solo a inasprire la contrapposizione e a favorire la saldatura di un asse asiatico. Così ci dirigiamo velocemente contro un muro.

L’Italia che cosa può fare?

Un’iniziativa nei confronti della Ue sarebbe utile, anzi necessaria. L’Europa può avviare un processo, ma da sola non basta, dovrà rivolgersi non solo ai suoi alleati naturali, muovendosi nello spirito che Aldo Moro a Helsinki interpretò da ministro degli Esteri, andando oltre la logica dei blocchi. Servono la Cina, l’India, i Paesi emergenti. Tutte le nazioni hanno interesse a ristabilire la pace, la sicurezza internazionale serve a tutti. E di fronte a un’iniziativa a tutto campo nessuno avrebbe interesse a starne fuori. Dopo le tante tragedie e guerre diffuse non si può più continuare a lasciare le cose come stanno. Occorre sciogliere questa tensione internazionale e trovare nuovi equilibri per assicurare un pace duratura tra le nazioni.

Secondo lei è stata violata la Costituzione?

Diciamo che la abbiamo aggirata, rimossa. E le abbiamo fatto dire cose che non dice.

la via d’uscita?

Una grande conferenza di pace come Helsinki nel 1975

Il giurista Azzariti
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