La mutazione darwiniana del PD renziano

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Enzo Scandurra
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://fondazionepintor.net/politica/scandurra/mutazione/

di Enzo Scandurra – 13 ottobre 2014

 

La que­stione intorno alla “muta­zione gene­tica” (e anche antro­po­lo­gica) della base del Pd, di cui tanto si discute oggi, mi ha ripor­tato alla mente, per un’associazione indi­retta, la lunga que­relle che si svi­luppò (e tutt’ora ancora imper­versa) a par­tire dalla pub­bli­ca­zione di quel capo­la­voro scien­ti­fico che è L’Origine della Spe­cie (1859) di Char­les Darwin.

Nella sua nota (e sem­pre avver­sata, soprat­tutto negli Stati uniti dove ancora pre­vale il “crea­zio­ni­smo”) teo­ria sull’evoluzione della spe­cie, Dar­win si è sem­pre sfor­zato di negare che il pro­gresso carat­te­rizzi la sto­ria della vita nel suo insieme o anche solo che esi­sta come ten­denza gene­rale a rego­lare il suo flusso. La teo­ria alla base della sele­zione natu­rale, infatti, non fa nes­suna affer­ma­zione sul pro­gresso in gene­rale, men­tre la vul­gata dar­wi­niana che ne è con­se­guita ancora oggi pone il pro­gresso al cen­tro della teo­ria evo­lu­zio­ni­stica. S.J. Gould (scom­parso qual­che anno fa), paleon­to­logo e uno dei più bril­lanti inter­preti e divul­ga­tori della teo­ria di Dar­win, soste­neva che l’equivoco tra pro­gresso e sele­zione natu­rale risa­lisse al clima cul­tu­rale e sociale dell’Inghilterra vit­to­riana nel quale la parola evo­lu­zione fu scam­biata con quella che Dar­win aveva chia­mato «discen­denza con modi­fi­ca­zioni». Il Ter­mine “evo­lu­zione” del resto non cam­pare mai nella prima edi­zione dell’Origine della Spe­cie e, afferma Gould, Dar­win lo usò per la prima volta nell’Origine dell’uomo del 1871. Que­sto ter­mine – evo­lu­zione – era stato intro­dotto da Her­bert Spen­cer e in inglese signi­fi­cava let­te­ral­mente «l’aprirsi a qual­cosa». A Dar­win il ter­mine evo­lu­zione non pia­ceva affatto ma da buon con­ser­va­tore — ricco nobi­luomo di cam­pa­gna, quale era nello stile di vita pub­blica (a dif­fe­renza del suo radi­ca­li­smo in quella scien­ti­fica) — accettò il ter­mine in quanto era ormai di uso comune, pur affer­mando deci­sa­mente il suo non-progressismo: «Dopo attente rifles­sioni» — scrisse in una let­tera al paleon­to­logo Alpheus Hyatt -, «non posso negare la mia con­vin­zione che non esi­sta una ten­denza innata allo svi­luppo pro­gres­sivo» (1872).

Al con­tra­rio di quanto da molti soste­nuto (Marx com­preso), la teo­ria di Dar­win era piut­to­sto una teo­ria con­tro il pro­gresso: «I mec­ca­ni­smi fon­da­men­tali della sele­zione natu­rale pro­du­cono solo adat­ta­menti natu­rali non un pro­gresso gene­rale». Spie­gare come mai una teo­ria che sostan­zial­mente nega il pro­gresso come motore della sto­ria evo­lu­tiva natu­rale sia stata suc­ces­si­va­mente inter­pre­tata come una teo­ria del pro­gresso con­ti­nuo è cosa lunga da dire in poche righe. Sem­pli­fi­cando, la teo­ria di Dar­win sostiene che nella lotta per la soprav­vi­venza è l’organismo più adatto ad avere la meglio. Que­sto ter­mine – più adatto – va letto nel suo signi­fi­cato stret­ta­mente tec­nico e scien­ti­fico e sta ad indi­care l’organismo che è più in grado di soprav­vi­vere ai cam­bia­menti ambien­tali pro­dotti dalla natura, punto.

L’evoluzione cul­tu­rale è cosa diversa da quella natu­rale (è lamarc­kiana) nel senso che i cam­bia­menti cul­tu­rali pos­sono essere tra­smessi diret­ta­mente da una gene­ra­zione all’altra e dun­que sono cumu­la­tivi. Per fare l’esempio di Gould, se invento la prima ruota, la mia inven­zione non è con­dan­nata all’oblio a causa dell’impossibilità di tra­smet­terla per via ere­di­ta­ria (come invece avviene per qual­siasi miglio­ra­mento fisico negli ani­mali così come nel mondo vege­tale). Posso invece inse­gnare ai miei figli come fare altre ruote, ovvero tra­mite il ricorso a quella parola che chia­miamo “educazione”.

Que­sto signi­fica che, in ambito cul­tu­rale, non è detto (come invece avviene in quello natu­rale) che le idee che soprav­vi­vono sono quelle più adatte. Anzi, soste­neva Gre­gory Bate­son, le idee sba­gliate hanno spesso la meglio su quelle com­plesse e arti­co­late (basta pen­sare alle guerre ricor­renti, solo per fare un esem­pio, o alla dif­fu­sione del raz­zi­smo): «Pare che esi­sta una sorta di legge di Gre­sham», affer­mava Bate­son, «dell’evoluzione cul­tu­rale, secondo la quale le idee ultra­sem­pli­fi­cate fini­scono sem­pre con lo spo­de­stare quelle più ela­bo­rate, e ciò che è vol­gare e spre­ge­vole fini­sce sem­pre con lo spo­de­stare la bel­lezza» (La frase con­clu­siva di que­sta espres­sione era: «Ciò nono­stante la bel­lezza per­dura»). In ambito cul­tu­rale, infatti, non c’è un altret­tanto fer­reo mec­ca­ni­smo come in quello natu­rale, in grado di sele­zione ciò che è più adatto. Idee o pre­sup­po­sti falsi o sba­gliati pos­sono avere, per motivi sto­rici, sociali, cul­tu­rali o con­tin­genti, la stessa capa­cità di soprav­vi­venza di quelle giu­sti e spesso anche mag­giore capacità.

Tutto que­sto per dire che la muta­zione poli­tica e antro­po­lo­gica del Pd, ovvero il suo suc­cesso poli­tico (quello del 40% per dirla alla Renzi) sta a testi­mo­niare, per usare la meta­fora dar­wi­niana, che il “nuovo” Pd, ovvero il PD-R, è cer­ta­mente più adatto a soprav­vi­vere nel nuovo mutato ordine della geo­po­li­tica ita­liana ed euro­pea (inu­tile negare il suo suc­cesso elet­to­rale) e tut­ta­via, per quanto sopra detto, que­sta sua adat­ta­bi­lità non è certo prova della sua bontà o luci­dità poli­tica come super­fi­ciali osser­va­tori dichia­rano. Direbbe Dar­win: è solo il più adatto. Scam­biare il migliore con il più adatto è un vec­chio cascame dell’interpretazione della teo­ria di Dar­win. Per con­fu­tarla Gould affer­mava: sapete quale è la spe­cie più adatta che abita il pia­neta? Sono i bat­teri in quanto spe­cie più nume­rosa. I quali, noto­ria­mente, non sono né sim­pa­tici né intel­li­genti. Sono sem­pli­ce­mente i più adatti. Per­ché poi le idee del PD-R siano le più adatte ad avere suc­cesso è una sto­ria tutta ancora da scri­vere ma che faremmo bene a capire al più pre­sto — rac­co­gliendo l’appello lan­ciato da Norma Ran­geri — se non vogliamo fare la fine dei dino­sauri, i quali dopo aver domi­nato in maniera incon­tra­stata il pia­neta per 160 milioni di anni, diven­ta­rono eco­lo­gi­ca­mente inso­ste­ni­bili e si estin­sero lasciando il campo incon­tra­stato ad altri viventi più adatti.

da il manifesto del 14 ottobre 2014

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