Fonte: Corriere della sera
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Ottime le misure annunciate dal premier. Tuttavia la repressione non basta se non si semplificano le norme e non si interviene sul rapporto patologico tra politica e amministrazione pubblica
di Sabino Cassese 10 dicembre 2014
Eccellenti le quattro misure annunciate dal presidente del Consiglio dei ministri (inasprimento delle pene, confisca dei beni, restituzione del maltolto, allungamento della prescrizione). Servono a sanzionare più duramente i colpevoli e a dissuadere futuri corruttori. Il presidente Renzi è, però, consapevole che vanno anche accompagnate da misure per prevenire la corruzione, per creare le condizioni istituzionali che la impediscano. Ha, infatti, detto che vuol «fare di tutto» per combattere il malaffare amministrativo, anche con altre norme e con l’educazione, senza fare sconti.

E allora, in attesa del processo (che sia sollecito) e considerando l’accusa, val la pena di riflettere sulle condizioni istituzionali che hanno consentito la corruzione romana: che cosa non funziona nelle amministrazioni e ha reso possibile un così esteso e multipartitico sistema corruttivo, che ha coinvolto la gestione dei campi profughi, l’assistenza agli immigrati, l’agenzia per le case popolari, la manutenzione delle piste ciclabili, la manutenzione delle aree verdi, i servizi di igiene urbana, la raccolta differenziata, gli interventi per il maltempo, la gestione delle gare, molti uffici amministrativi? Guardando al di là della cronaca, quali lezioni possono trarsi dalle accuse, che servano a prevenire ulteriori fenomeni di cattiva amministrazione e di criminalità?
Il decentramento porta con sé maggiore corruzione: questo risulta da tutti gli studi compiuti nel mondo sulla corruzione. In Italia abbiamo una eccessiva ramificazione, le frange periferiche di un siste ma di poteri pubblici troppo estesi. Perché — ad esempio — la gestione dell’immigrazione, che è problema nazionale (anzi, europeo), è affidata ad enti locali? Poi, si è fatto troppo ricorso a privati, cooperative e società per azioni. Le amministrazioni locali non fanno, fanno fare ad altri. In queste periferie del potere, dotate di cospicue risorse, senza adeguati controlli, si annidano sprechi e corruzione. Sappiamo che le amministrazioni locali italiane si avvalgono di circa 8 mila società per azioni. Non sappiamo quante siano le cooperative su cui gli enti locali fanno affidamento.
Il terzo fattore è quello dei sistemi derogatori, con cui si aggirano le regole sugli appalti. In particolare, a Roma, specialmente dal 2008, con la solita motivazione che le procedure sono arcaiche e farraginose («da sbloccare», nel linguaggio di uno degli indagati), si sono creati percorsi paralleli, meno garantiti e meno controllati.
A questi si aggiunge un ulteriore incentivo alla corruzione: troppi posti amministrativi sono coperti da persone scelte senza concorso, non per il loro merito, ma per «meriti politici ». Costoro non si sono guadagnati il posto con le loro forze, ma l’hanno avuto grazie ad appoggi di partito o di fazione. Quando chiamati, debbono «contraccambiare» il favore reso loro da quel sottobosco di vassalli che si nasconde sotto il manto della buona politica. C’è, infine, un legame perverso partiti-amministrazione, come si legge nelle parole di un altro indagato («la cooperativa campa di politica»). Organi rappresentativi, come il consiglio comunale, che dovrebbero essere di indirizzo e di controllo, invece fanno gestione.
Abbiamo bisogno di istituzioni perché gli uomini non sono angeli, diceva uno dei «padri fondatori» americani. Nel mondo molle dell’amministrazione romana, con tanti corpi ibridi, né pubblici, né privati, ma che operano con risorse pubbliche, non vi sono regole, ma deroghe; non procedure, ma scorciatoie; non veri funzionari pubblici, ma uomini assoldati dalle fazioni. I diavoli, quindi, hanno avuto la meglio.



3 commenti
Penso che non funzionerà, perché passare un sovraccarico di lavoro ai giudici comporterà ritardi notevoli, lacci e lacciuoli tali da vanificare ogni conato. La prevenzione: a dirlo è semplice, le modalità ancora non sperimentate. Le sanzioni, quasi impossibili.
C’era una volta il collaudatore, per ogni opera pubblica. A monte c’era l’esame del progetto, e c’era l’analisi dei prezzi. Ora, tutto passa ai Comuni: non sempre attrezzati, ma facilmente abbordabili. C’era un Consiglio comunale ampio, ora non più: per impedire l’ingresso diretto della criminalità? Ance, ma soprattutto per impedire controlli più accurati. C’era il Co.Re.Co., ora semplici visti di funzionari solitamente privi di autonomia.
Ci sono i Comitati Regionali dei Prezzi; rappresentanti di imprese potenti hanno il predominio, i prezzi più interessanti lievitano a dismisura.
Le gare d’appalto per gli acquisti solitamente son fasulle, e ingiuste. Meglio pagare prezzi non ribassati, e acquistare un po’ da tutti gli operatori. Già il risparmio delle spese burocratiche e l’accelerazione dei tempi riducono assai gli sprechi.
I collaudi, le verifiche.
Piccole operazioni non hanno bisogno di farraginose procedure. Un unico responsabile, e via! Ma supportato da un apparato efficiente. Il responsabile risponderà del risultato complessivo, e della sua moralità, sempre che non interferisce in alcun modo il potere politico.
Mi dicevano del servizio economato della Fiat: sappiamo che a Natale, a Pasqua, arriva la cassetta d liquori. Ma guai a spere che il responsabile prendesse una lira di illecito: licenziamento immediato!
Opere e forniture più consistenti. Ci sono due elementi fondamentali: l’analisi dei prezzi, o il confronto dei prezzi a monte. Il collaudo in corso d’opera e il collaudo finale. La verifica della regolarità, della funzionalità, della qualità.
Penso che sia necessario tornare agli orai di Provveditorato, con queste funzioni. Alla costituzione di una ampia rete di collaudatori e di esperti analisti. Nessun preventivo deve passare senza preventiva verifica da parte di tali organismi, con scelta dei controllori, od operatori, a sorteggio ed a rotazione.
In caso di cantieri, ritengo possibile il monitoraggio quotidiano, perché non sfugga nemmeno uno spillo al controllo.
Assumere migliaia di giovani neo-laureati e sparpagliarli sul territorio. Con smart-phone appresso, le centrali informatiche possono costituire banche dati ineccepibili.
Costa meno lo stipendio di migliaia di giovani neolaureati che lo sgarro su un appalto milionario.
Quali piedi saranno calpestati? Qui è il dilemma!
Le sanzioni. Provocano litigiosità. Talvolta dispendiose interruzioni. Servono imprese statali con duplice compito: partecipare strumentalmente alle gare d’appalto a rischio inquinamento; sostituire imprese inadempienti o responsabili di sgarri notevoli.