Il regista sta sempre al governo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alberto Burgio
Fonte: Il Manifesto
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di Alberto Burgio, 16 febbraio 2015

 Sup­pongo che molti abbiano notato con qual­che sor­presa l’ostentata indif­fe­renza con cui in que­sti giorni la «grande stampa» ha regi­strato gli ultimi mas­sicci epi­sodi di tra­sfor­mi­smo par­la­men­tare, suc­ces­sivi al pru­dente cam­bio di casacca dei «respon­sa­bili» di Sel. Alludo alla con­fluenza nel par­tito del pre­si­dente del Con­si­glio di buona parte dei gruppi di Scelta Civica e al più o meno espli­cito tra­sloco in mag­gio­ranza di par­la­men­tari di Gal, di for­zi­sti di rito ver­di­niano e di fuo­riu­sciti del M5S.

Il tutto a uso e con­sumo del governo Renzi, messo così in con­di­zione di neu­tra­liz­zare gli even­tuali con­trac­colpi della rot­tura del patto del Nazareno.

La non­cha­lance riser­vata a tali vicende sem­bra sug­ge­rire che si tratti di bana­lità nella norma. Vale allora la pena di chia­rire subito un punto essen­ziale. Non si tratta sol­tanto di un feno­meno squal­lido sul piano morale («etico-politico»). Nella misura in cui inter­fe­ri­sce pesan­te­mente nella fun­zione di rap­pre­sen­tanza che la Costi­tu­zione asse­gna al par­la­mento della Repub­blica (notava Michele Pro­spero qual­che giorno fa sul mani­fe­sto che in con­se­guenza della migra­zione ad altri gruppi di quasi due­cento par­la­men­tari la com­po­si­zione del par­la­mento ita­liano oggi è pro­fon­da­mente diversa da quella pro­dotta dal voto popo­lare di due anni fa), il tra­sfor­mi­smo è anche un indice della gra­vità della crisi demo­cra­tica in atto nel paese. Par­larne seria­mente – per­sino dram­ma­ti­ca­mente – non è quindi pru­de­rie. Signi­fica, al con­tra­rio, abboz­zare una inde­ro­ga­bile ana­lisi politico-storica.

Comin­ciamo pro­prio da qui. Nei Qua­derni del car­cere Gram­sci – non pro­pria­mente un mora­li­sta nel senso spre­gia­tivo del ter­mine – insi­ste più volte sulla rile­vanza del tra­sfor­mi­smo nel pro­cesso risor­gi­men­tale e nella dina­mica poli­tica della nuova Ita­lia (nei primi cinquant’anni di vita dello Stato uni­ta­rio). Attra­verso il tra­sfor­mi­smo – scrive – i «mode­rati» gui­dati da Cavour «dires­sero» i demo­cra­tici di Maz­zini e Gari­baldi, impri­mendo al Risor­gi­mento una cifra oli­gar­chica, con­ser­va­trice e anti­po­po­lare. Anche dopo il 1870 la parte mode­rata con­ti­nuò a diri­gere il Par­tito d’Azione mediante il tra­sfor­mi­smo, che per que­sto Gram­sci con­si­dera «un aspetto della fun­zione di domi­nio», oltre che «una forma della rivo­lu­zione pas­siva». In sostanza, la classe diri­gente ita­liana venne ela­bo­rata «nei qua­dri fis­sati dai mode­rati» anche per mezzo dell’«assorbimento degli ele­menti attivi» pro­ve­nienti dalle classi nemi­che. Le quali furono così «deca­pi­tate» e per lungo tempo «annichilite».

Al di là dell’aspetto morale, Gram­sci pone dun­que un forte accento sul carat­tere poli­tico del feno­meno tra­sfor­mi­stico. Nella sua ana­lisi col­pi­sce in par­ti­co­lare un ele­mento di straor­di­na­ria attua­lità, in forza del quale essa sem­bra offrire la foto­gra­fia di quanto sta acca­dendo sotto i nostri occhi, tra «sta­bi­liz­za­tori», «respon­sa­bili» e altre varianti della pro­ge­nie sci­li­po­te­sca. Nell’analizzare il tra­sfor­mi­smo, i Qua­derni sot­to­li­neano la spe­ci­fica respon­sa­bi­lità degli ese­cu­tivi. Affer­mano che i movi­menti tra­sfor­mi­stici sono da impu­tarsi in larga misura al governo in carica, il quale opera «come un “par­tito”» ponen­dosi al di sopra dei par­titi esi­stenti per disgre­garli, pre­ci­sa­mente allo scopo di costi­tuire una forza di «senza par­tito» posti ai suoi ordini.

Ottant’anni fa Gram­sci sem­bra insomma rac­con­tare la cro­naca di que­ste set­ti­mane, il trionfo – chi sa quanto dura­turo – di Renzi, il sor­gere della sua «dit­ta­tura». Con la loro opera di cor­ru­zione e assor­bi­mento di interi gruppi par­la­men­tari, i governi Depre­tis, Cri­spi e Gio­litti pro­vo­ca­rono indub­bia­mente la «scar­sità di uomini di Stato, di governo» e la «mise­ria della vita par­la­men­tare». Ma la loro azione di comando indub­bia­mente se ne avvan­tag­giò, essen­dosi sba­raz­zata di osta­coli importuni.

Oggi que­sto sce­na­rio si ripete tal quale, sic­ché è suf­fi­ciente aggior­nare l’analisi di Gram­sci con il rife­ri­mento ad altri epi­sodi e figure. Chia­rendo innanzi tutto che il tra­sfor­mi­smo non è più sol­tanto inter­par­ti­tico ma anche infra­par­ti­tico (essen­dosi i par­titi stessi parlamentarizzati).

Quanto sta avve­nendo pro­prio in que­ste set­ti­mane nel Pd ne è un esem­pio pla­stico. Il par­tito di Renzi non è sol­tanto una forza attrat­tiva per feno­meni tra­sfor­mi­stici clas­sici (di affluenza di forze par­la­men­tari dall’esterno). È anche sede di dina­mi­che tra­sfor­mi­sti­che interne, influenti sulla dia­let­tica tra le sue componenti.

In quest’ottica va letto il con­fluire (con­cla­mato o sur­ret­ti­zio) delle diverse anime dell’opposizione «di sini­stra» nella mag­gio­ranza ren­ziana, inau­gu­rato mesi addie­tro dalla coop­ta­zione in ruoli diri­genti di molti ex «gio­vani tur­chi» e ber­sa­niani, e coro­nato, da ultimo, dalla sostan­ziale paci­fi­ca­zione interna suc­ces­siva all’elezione del nuovo pre­si­dente della Repubblica.

È dun­que un fatto: anche ai giorni nostri il tra­sfor­mi­smo si con­ferma effi­ciente stru­mento di costru­zione di mag­gio­ranze che immu­niz­zano i governi dalla dia­let­tica par­la­men­tare, via via degra­data a «potere di veto dei par­ti­tini», a «minac­cia per la gover­na­bi­lità», a «sabo­tag­gio a opera di frenatori».

Come in pas­sato, il tra­sfor­mi­smo è uno dei prin­ci­pali mezzi di governo e di con­trollo delle aule par­la­men­tari. E anche da que­sto punto di vista il demo­cra­tico Renzi appare in linea col peg­gio, repli­cando il diretto pre­ce­dente dell’ultimo governo Ber­lu­sconi, tenuto in vita dal mani­polo dei suoi «responsabili».

Ma – rico­no­sciuta, anche gra­zie a Gram­sci, la fon­da­men­tale poli­ti­cità del feno­meno tra­sfor­mi­stico – siamo sol­tanto a metà del discorso. Resta da chia­rire una parte altret­tanto rile­vante, ben­ché forse meno scon­tata. Come dicevo all’inizio, il pro­blema è in che ter­mini si parla del tra­sfor­mi­smo e delle pato­lo­gie con­si­mili, sem­pre che se ne parli.

Que­sto pro­blema ne coin­volge a sua volta un altro, più gene­rale e di fondo. Dovremmo chie­derci che cosa sia oggi la «que­stione morale» e in che misura essa dif­fe­ri­sca dai temi poli­tici ai quali abi­tual­mente si pre­sta atten­zione. Su que­sti temi avremo modo di sof­fer­marci in un pros­simo intervento.

da il manifesto del 17 febbraio 2015

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