Una Costituzione senza societá

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Massimiliano Civino
Fonte: Il militante ignoto
Url fonte: http://www.ilmilitanteignoto.it/?p=188

di Massimiliano Civino – 18 febbraio 2015

Non vi è ombra di dubbio che la classe politica oggi al potere in Italia, guidata dall’attuale premier Matteo Renzi, rappresenti un manipolo di giovani e maldestri apprendisti stregoni che gioca a riformare la Carta Costituzionale come fosse il regolamento di un condominio. Ma lo scarto fra le intenzioni di chi vorrebbe difenderne i principi, anche quando sostenute in brillanti articoli di illustri opinionisti e giuristi, e la realtá storica e sociale alla quale quei principi dovrebbero dare sostanza e significato, comincia a diventare un fardello che alimenta ancora di piú la forza dei suoi detrattori.

Nella difesa dei principi della Costituzione molti commettono, a mio avviso, due tipi di errori.

Il primo è quello di considerare la Costituzione come l’espressione di una realtá prevalentemente giuridica o politica, e quindi come il risultato di una lotta tra coloro che vogliono affermare la democrazia ed i diritti, e coloro che si fanno portatori, piú o meno consapevoli, di forme post-moderne di autoritarismo. “[…] basterebbe scrutare il testo della nuova legge elettorale per rimanere sfiorato da una qualche sana inquietudine sulla fabbrica legale di un dispotismo della minoranza” (cit. M. Prospero)

Il secondo errore, prevalente nel discorso di coloro che difendono il carattere “liberale” dei diritti politici e sociali dichiarati nella Costituzione, penso sia quello di una grave rimozione. Invocando come immanenti le virtú della societá civile, si suggella il definitivo tramonto della societá come fonte storica di ogni produzione normativa e di ogni creazione di senso. “C’è qualcuno che insidia la democrazia, prepara, politicamente e culturalmente, un governo autoritario? C’è, al contrario, un diffuso patriottismo costituzionale, una dichiarata e ampia lealtà alla Costituzione? Infine, ci sono i contropoteri, gli anticorpi, che potrebbero far fronte a tentazioni autoritarie?” si domanda S. Cassese sul Corriere, definendo così la dinamica sociale attraverso una mera negazione dell’esistenza di un pericolo per la democrazia e riducendone il senso ad una pura questione di valori di tipo etico-civile.

Nel primo caso si dimentica quanto la Costituzione sia stata, è vero, il risultato positivo di una lotta, ma per essere vinta essa ha richiesto lo sviluppo di nuove condizioni che prima non esistevano o esistevano in forma solo embrionale. Soltanto grazie ad una nuova realtá economica e sociale, a partire dal dopoguerra, la vita concreta e l’esistenza degli individui ha potuto poggiare su quell’“edificio dei diritti”  che chiamiamo Costituzione, rendendo possibile il progresso e l’avanzare dei ceti popolari e subalterni per una certa fase storica, il cosiddetto “trentennio glorioso”. Ma se negli ultimi trent’anni quell’edificio è stato un poco alla volta demolito, fino a mettere in pericolo le fondamenta stesse della democrazia, non basta lottare per la difesa della Costituzione invocando un potere in grado di decidere arbitrariamente il prevalere di una delle forze in lotta sull’altra, ma è necessario imparare a metabolizzare le nuove condizioni emerse grazie a quel progresso, le quali oggi non consentono di procedere sulla via dello sviluppo umano tracciato magistralmente dai nostri padri costituenti.

In altre parole, la Costituzione non può essere rivendicata soltanto come un orizzonte verso il quale si debba giungere, ma credo che da essa si debba partire per individuare in maniera problematica le ragioni che stanno precludendo uno spiraglio di uscita dalla crisi dei suoi valori e principi.

Provo a fare qualche esempio. Nel dopoguerra, grazie alle lotte sociali e all’intervento fondamentale dello Stato nell’economia, abbiamo visto l’affermarsi del “diritto allo studio” che ha garantito un’alfabetizzazione di massa mai conosciuta nelle epoche precedenti. Ma perchè mai quel diritto, dopo piú di mezzo secolo, continua ad essere l’espressione di un obbligo invece di esprimersi come una libertá positiva? Ed ancora, perchè il “diritto alla salute”, grazie al quale è stato possibile un drastico abbassamento della mortalità infantile ed allo stesso tempo un significativo aumento dell’etá di vita media, continua a subire una serie di contraccolpi sia nelle istituzioni dirette a soddisfarlo che nel comportamento di chi ne usufrusice? Perchè la disoccupazione di massa determina un senso diffuso di impotenza, nonostante il diritto al lavoro venga richiamato esplicitamente nel primo articolo della Costituzione?

Altresí, in coloro che commettono il secondo tipo di errore, prevale una visione “orizzontalista” della societá che si scontra duramente con la struttura portante dei principi della Costituzione. Secondo tale paradigma, oggi ” il mondo coincide con se stesso e gli individui coincidono con l’interma umanitá” (cit. Piero Barcellona). Ovvero, “le singolaritá che compongono il sistema, sono deprivate della forza, della protezione, e del ‘peso’ delle organizzazioni collettive, in tutte le loro forme” (cit. Onofrio Romano – trad. da ‘The Sociology of Knowledge in a Time of Crisis’).

La Costituzione al contrario, come ad esempio ci ricorda l’art.49, si basa su un solido paradigma “verticalista”, con il quale non solo lo Stato, ma le organizzazioni collettive, nelle loro diverse forme, diventano lo strumento con il quale i singoli contribuiscono allo sviluppo ed al progresso sociale.

A mio parere, la crisi delle forme di organizzazione stataliste e collettive sancite dalla Costituzione, coincide con la crisi di quella realtá economica e sociale a cui ho accennato sopra. Grazie allo sviluppo ed al progresso infatti, in una societá dominata dall’abbondanza, abbiamo assistito negli ultimi trentanni all’emergere dei primi rozzi e contraddittori tentativi, da parte degli individui, di esprimere un potere che cerca di fare a meno di qualsiasi mediazione esteriore, dimostrando però di non aver ancora conquistato la capacitá di giungere a nuove e superiori forme di mediazione comunitarie.

Ad esempio, in Italia lo sgretolamento dei partiti ha visto l’affermarsi di forme di organizzazione che, a partire dal Movimento dei 5 Stelle fino ad arrivare a quel capolavoro di “partito liquefatto” che è il PD di Matteo Renzi, continuano a proclamare una ridicola verginitá sociale da una a parte e ad esaltare la conformazione “leggera” o “reticolare” dall’altra. In entrambi i casi, non si tratta ovviamente di un progresso rispetto alle tradizionali forme dell’agire politico, ma soltanto di un limite connesso al loro basso grado di sviluppo. Fenomeno, si badi bene, che ha riguardato non soltanto l’Italia, ma piú in generale i paesi economicamente avanzati. (Si pensi ai movimenti NO-Global, PODEMOS in Spagna, etc.)

Da quando la Costituzione è nata sino al culmine dello sviluppo realizzato grazie ai suoi principi e valori, si sussurrava di “germi di socialismo” dei quali la storia degli uomini avrebbe dovuto prendersi cura ed innaffiare. È un peccato e in qualche modo paradossale che, sia il cambiamento della Costituzione, sia la difesa dei sui principi, siano oggi in mano a dei pessimi giardinieri.

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