Jobs act: la società non esiste

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 23 febbraio 2015

Da oggi, dopo i decreti attuativi del jobs act, la questione del lavoro si ridurrà, in massima parte, a un confronto diretto tra singolo lavoratore e imprenditori. I casi di reintegro saranno ridottissimi, e l’indennizzo infine sanerà ogni controversia. Ciò che ‘cresce’ nelle tutele è “l’importo del risarcimento”, come scrive Luisa Grion su ‘Repubblica’ di sabato. Nel caso un motivo economico per il licenziamento non sussista (tipo una crisi aziendale), ciò non costituirà un problema, perché non ci sarà comunque reintegro e tutto si risolverà con un indennizzo di varia entità. Sarà anche possibile una ‘conciliazione’: senza passare dal giudice, scrive ancora Grion, l’imprenditore offrirà al lavoratore un importo pari a un mese di stipendio per ogni anno di lavoro, fino a un massimo di 18 stipendi, e il gioco sarà fatto. Accettato l’importo, il rapporto di lavoro sarà considerato chiuso. Così per i licenziamenti collettivi: rispettati certi criteri l’azienda non avrà più obbligo di reintegro ma solo di indennizzo monetario. Le vertenze, nel caso, saranno più che altro un esercizi accademico (e forse sempre più spuntato).

Non solo con questo provvedimento si ‘monetizza’ il lavoro, ma si trasforma il lavoro stesso (e la perdita dell’occupazione, con tutti i drammi che ne conseguono) in una questione meramente individuale tra lavoratore e imprenditore, senza più altri attori sociali o figure di vario tipo attorno, a partire dal giudice. Il problema del lavoro, la sua dimensione sociale, collettiva, la responsabilità che tutti ci assumevamo quando migliaia di persone perdevano il posto di lavoro, il sentimento di solidarietà, di prossimità che si nutriva per quelle famiglie senza più risorse, il senso di rabbia e di frustrazione che ci coglieva quando un 50enne veniva sbattuto in mezzo a una strada, da oggi non avranno più alcun senso. Saranno mera narrazione. Perché ci sarà un solo tavolo: da una parte il datore di lavoro, dall’altra il lavoratore, e in mezzo lo spazio neutro in cui transiterà un assegno circolare. Si possono aprire tutte le vertenze che si vogliono, sulla realtà o meno della crisi aziendale,sulla possibilità di affrontare in altro modo la questione, sulle soluzioni alternative al licenziamento, ma poi tutto si ridurrà a una trattativa personale, che si concluderà con un versamento monetario.

La Tatcher diceva che la società non esiste. Era (ed è) un vecchio ideale della destra, quello di scorporare e dilaniare il tessuto sociale nei suoi singoli atomi, separandoli l’uno dall’altro, imponendo il mercato libero delle braccia (e delle menti), e chiamando tutto ciò modernità. Il jobs act rende tutto ciò, dopo decenni, possibile in Italia. Individui soli alle prese con imprenditori, loro sì organizzati, che prendono e lasciano vite sventolando in aria un assegno. Individui che potranno contare soltanto sulla loro forza, una forza indubbiamente ridotta rispetto alla potenza sociale di una classe, un ceto, un raggruppamento sociale, un’organizzazione, un sindacato, un partito, un consiglio, un comitato. La società non esiste, appunto, da oggi esiste solo la solitudine del numero primo. Erano decenni che la destra tentava di sfondare in Italia su questo aspetto di fondo. Ora c’è riuscita. Ai giovani che invocavano questo sbocco, io dico: cominciate ad abituarvi alla solitudine. Ma vedrete, un giorno sarà chiarissimo come certi traguardi, certe conquiste, certi avanzamenti saranno impossibili senza un tessuto sociale attorno, una trama che esprima solidarietà effettiva e non solo una moderna competitività meritocratica tra individui soli. E dunque perdenti già a trenta anni.

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