Fonte: la Repubblica
Url fonte: http://www.eddyburg.it/2015/11/pablo-neruda-ero-li-vi-svelo-come-fu.html
11 Novembre 2015
«L’autista Manuel Araya racconta gli ultimi giorni del poeta cileno “Dal processo aspetto la verità”». Una testimonianza sull’inizio dell’ascesa del dominio globale del finanzcapitalismo. La Repubblica, 11 novembre 2015, con postilla
Araya forse si salvò per la seconda volta dalla morte quando, il 22 marzo 1976, suo fratello Patrick — scambiato per lui, assicura — fu fatto scomparire. Non se ne seppe più nulla. A sostegno della sua teoria, ricorda che uccisero Homero Arce, segretario personale di Pablo Neruda, nel 1977. «Tutti i collaboratori furono fatti sparire. Io sono l’unico rimasto vivo. Vivevo nascosto in casa di amici. Nessuno mi dava lavoro, finché nel 1977 cominciai a fare il tassista».
La dittatura finì nel 1990. Si mantenne in contatto con Matilde Urrutia, la terza moglie di Neruda, morta nel 1985. «Non volle mai parlare dell’omicidio. Ho smesso di vederla per questo. Siamo diventati nemici. Ho bussato a tante porte. Anche a quella del presidente Eduardo Lagos. Nessuno mi ha dato ascolto. Nè i politici, né i media». Finché, nel 2011, un giornalista della rivista messicana Proceso non pubblicò la sua storia. Allora, il partito comunista e Rodolfo Reyes, nipote di Neruda, presentarono una denuncia in base alla sua testimonianza.
Araya è nato il 29 aprile del 1946. «Nel 1972, quando Neruda torna in Cile per aiutare Allende nel caos che sta attraversando il paese, il partito Unidad Popular mi assegna a lui. Divento la sua guardia del corpo, il suo segretario e il suo autista. Ho vissuto con lui nella casa di Isla Negra. Neruda aveva una flebite alla gamba destra e zoppicava, a volte. Era in terapia per un cancro alla prostata, ma non era in agonizzante. Era un uomo che pesava più di cento chili, robusto, che amava la buona tavola e le feste. L’11 settembre 1973, quando Pinochet mise in atto il colpo di Stato, ci troviamo a Isla Negra. Rimaniamo senza telefono. Il giorno dopo, ci mettono davanti una nave da guerra con i cannoni. Il giorno 14, arrivano i militari e perquisiscono la casa. Neruda parla con il suo medico, il dottor Roberto Vargas Salazar, che gli dice che il 19 settembre, presso la Clinica Santa Maria, si sarebbe liberata la stanza 406».
«Il 19 lasciamo Isla Negra in macchina e ci rechiamo a Santiago. Arriviamo verso le sei del pomeriggio. Non lasciammo mai Neruda da solo. Rimasi tutti i giorni lì a dormire. Domenica 23 Neruda mi dice di andare con Matilde a Isla Negra per prendere i bagagli. Stiamo per tornare quando chiede che dicano a Matilde di recarsi di corsa in clinica. Quando arriviamo, vedo che Neruda è rosso in viso. “Che succede?”, gli chiedo. “Mi hanno fatto un’iniezione sulla pancia e mi sento bruciare dentro”, mi rispose. In quel momento, entra un medico e mi dice: “Lei, che è l’autista, vada a comprare una confezione di Urogotan”. Non sapevo che cosa fosse, solo dopo ho saputo che è un farmaco per la gotta».
© El País / LENA, Leading European Newspaper Alliance Traduzione di Luis E. Moriones
Quanti ricordano, o sanno, che la sanguinosa vicenda della soppressione della Repubblica cilena governata da Salvador Allende fu il primo atto dell’instaurazione del potere mondiale del finanzcapitalismo? Quell’atto criminoso fu la sperimentazione e l’avvìo deleldominio mondiale di cui la NATO, l’Unione europea e i governi europei – giù giù fina all’Italia di Matteo Renzi) sono l’espressione. L’occasione della testimonianza sulla morte del grande poeta è u invito a leggere, o rileggere, la breve storia del neoliberalismo, di David Harvey (vedi, su eddyburg, la recensione di Ilaria Boniburini), su un altro piano, i tre di Enrico Berlinguer del 1973 (riuniti su eddyburg con il titolo Il Cile, l’Italia e il compromesso storico )



