di Alfredo Morganti – 12 gennaio 2016
La grande truffa delle ‘percezioni’
Si dice che i tempi sono cambiati e che bisogna adeguarsi al nuovo. Che il vecchio non funziona più perché tutto è mutato, e che è necessario gettare via zavorra e ripartire secondo il nuovo paradigma storico. Che è inutile attardarsi in vecchie forme, vecchie convinzioni, e che l’assetto del mondo non è più lo stesso, anzi siamo davanti a un cambiamento globale, del quale è necessario prendere atto, pena restare indietro in modo irrimediabile, pena l’incomprensione assoluta degli eventi. Chi non è al passo coi tempi deve essere rottamato, e comunque se non accadrà lo rottameranno i tempi nuovi stessi. Tutte queste sono convinzioni diffuse, sono la base comune e il fondamento di molte narrazioni in voga, di molto recentissimo nuovismo. Talmente diffuse, che persino i filosofi se ne fanno partecipi e testimoni, pur nella loro astratta genericità: “Il mondo è cambiato, loro no”, dice Cacciari riferendosi alla sinistra socialdemocratica europea. Tutto scorre, direbbe Eraclito, e noi dovremmo scorrere col tutto, annullandoci in esso senza opporre nemmeno un po’ di resistenza.
Non mi colpisce tanto questa (esecrabile comunque) idolatria del nuovo, o meglio dovrei dire ‘ideologia’. Mi colpisce molto, invece, l’assenza di un giudizio, di una presa di posizione, mi colpisce l’accettazione supina di questo presunto cambiamento. Nessuno ti spiega in dettaglio in che cosa esso consista, si limita a evocarlo, come uno spauracchio o forse un idolo da servire. E invece il giudizio conta molto, perché c’è nuovo e nuovo (ammettendo che sia davvero tale). Anzi, solo grazie a questo giudizio è possibile parlare di responsabilità storica, senza la quale siamo barche inermi nella tempesta. C’è nuovo e nuovo, dunque, e c’è il nostro giudizio, la nostra responsabilità verso gli eventi. Non basta dire il mondo è cambiato, bisogna dire come e perché, e quindi cosa dobbiamo fare noi per curare le trasformazioni positive ma opporci a quelle che reputiamo ingiuste, sbagliate, dannose. E c’è anche di peggio, ed è la constatazione che il nuovo non sia tale, ma solo un nuovo aspetto del vecchio stato. Una specie di recrudescenza spettrale dell’antico. La stessa cosa di prima, insomma, ma condito da una ideologia (narrazione) che ce lo presenta come una novità irresistibile. A cui dire sempre sì, proprio come raccomanda il premier (referendum compreso).
Che cosa abbiamo perduto, allora, rispetto ai decenni trascorsi? Io direi la capacità di giudizio storico. La capacità di resistere alle onde anomale, di opporci a quanto ci propone la storia, di stabilire un confine, un senso anche di non-appartenenza verso le novità. Non si tratta di rifiutare la realtà, ma la lettura condiscendente che ne viene fatta, concreti o supposti cambiamenti compresi. Si tratta invece di opporre la propria capacità inerziale e lavorare per trasformazioni che non cadono fatalmente dal pero, non siano subite, ma frutto di un’iniziativa storica, soggettiva. Ci manca la capacità di opporre alle ideologie del ‘nuovo’ una carica critica, che parta dal dato di fatto della realtà per opporne anche una percezione diversa, alternativa, un’interpretazione distinta rispetto a quelle dominanti. Si è detto che questa è l’epoca del nuovo realismo dei fatti, delle cose, anzi delle piccole cose. A me pare che questa sia l’epoca, invece, della grande truffa delle apparenze e delle interpretazioni. Della grande truffa delle “percezioni”, per le quali anche se la realtà è la stessa di prima, o è peggio, essa ci dovrebbe comunque piacere (e ci piace) più di prima! Dobbiamo essere consapevoli, dunque, che il realismo è ideologia anch’esso, altro che. Forse la più subdola di tutte. Così come l’idolatria del ‘fatto’. Il giorno in cui l’uso della parola ‘nuovo’ sarà francamente addebitabile ai conservatori, e la parola trasformazione sarà finalmente associabile a reali soggetti storici e non alla cieca fatalità, e una resistenza storica, una responsabilità e un’opposizione alle ‘percezioni’ (e ai poteri) dominanti torneranno a essere gesti quotidiani, be’, quel giorno saremo davvero tutti più liberi. Non oggi.


