Renzi, il Pd e la volontà di potenza del 25%

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
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di Michele Prospero – 12 aprile 2016
Anche con un discorso scritto, il presidente del consiglio non riesce ad affrontare con i giusti toni, e soprattutto con gli argomenti adeguati, il problema delle riforme istituzionali. L’aula deserta è la conferma della rottura che si è consumata nel sistema politico.
Nei colli alti si preferisce non ascoltare la scossa, ma le crepe si vedono: sono saltate le regole di una democrazia costituzionale. Oltre le implicazioni tecniche relative al disegno del nuovo senato, la questione principale, metacostituzionale e però insormontabile, è questa: la volontà di potenza del 25 per cento. Il Pd si è tramutato in un soggetto della slealtà costituzionale che accarezza il dominio della minoranza.
Ha un bel dire il presidente del consiglio che la Consulta, dichiarando l’incostituzionalità della legge elettorale, non ha delegittimato il parlamento in carica. La corte ha solo accordato a un organo di rappresentanza artefatta, perché espresso secondo una procedura illegittima, il tempo minimo per rimodulare le regole del gioco. Le camere avrebbero dovuto legiferare in maniera condivisa e restituire subito la titolarità dello scettro al popolo, la cui volontà è stata manipolata dalle precedenti formule elettorali.
Questa sensibilità istituzionale, per ripristinare la correttezza del gioco democratico graffiato, e riparare ad una alterazione della sovranità popolare, è mancata. E il Pd ha scritto a colpi di maggioranza un nuovo congegno, con il solo proposito di escogitare la formula magica per precostituire il risultato elettorale più vantaggioso e rimanere al potere.
Cioè un potere di fatto, denunciato dalla Consulta per la sua organica carenza di rappresentanza, decide di escogitare un altro dispositivo manipolatorio per vincere il premio e sacrificare ogni ruolo della rappresentanza. Un parlamento dalle competenze residuali si tramuta in un organo dalle pretese onnicomprensive. Invece di riconoscere il grado di minorità strutturale dell’attuale parlamento, e procedere con un senso del limite nel ripristino della legalità costituzionale, il Pd ha approfittato del plusvalore politico derivante da un premio di maggioranza illegittimo per aggrapparsi ad un potere illimitato di riforma.
Un parlamento ab origine di rango minore, e peraltro carente nella sua effettiva rappresentatività anche per il fenomeno del transfughismo che riguarda oltre 300 deputati, avrebbe dovuto ridimensionare le proprie prerogative, secondo un principio di ragionevolezza. E invece una camera organicamente non rappresentativa rilancia la propria volontà di potenza allargando lo spettro delle sue competenze per tramutarsi così in un potere costituente che maltratta le forme e le procedure.
Il principio di legalità è sospeso e opera un mero potere di fatto che sospinge il governo delegittimato, per l’originaria violazione della logica di rappresentanza, a inseguire un cronoprogramma, con realizzazioni-annunci che si estendono in ogni sfera dell’esistenza. L’occasionalismo di governo tramuta la costituzione in una questione di partito e addirittura personale del leader, il quale assicura che “con demagogia” affronterà il referendum d’autunno.
Per giustificare la sua condotta Renzi cita del tutto a sproposito Umberto Terracini (“che non era un pericoloso sovversivo” dice, ignorando che era un comunista di sinistra, uno straordinario “sovversivo” con 19 anni di carcere e confino alle spalle, che non arretrava neanche dinanzi a Lenin). Come presidente della costituente, Terracini si limitò a mettere ai voti “il principio che la revisione della costituzione possa aver luogo su iniziativa del governo”. Contro l’opinione di Piccioni, la sottocommissione approvò.
Ma è del tutto ingiustificato il richiamo al gennaio del 1947 per sorreggere il chiacchiericcio di un presidente del consiglio non parlamentare, a capo di un governo che vive solo grazie all’effetto dopante del Porcellum, che organizza il plebiscito per la sua legittimazione al potere. Le opposizioni (rappresentative di circa il 65 per cento del corpo elettorale del 2013) vengono schiaffeggiate dal dispotismo di minoranza.
Se Renzi interpreta lo spirito cattivo e illiberale del tempo, l’opposizione democratica dovrebbe recuperare una formula con cui proprio Umberto Terracini esprimeva il senso della milizia politica: “noi siamo più tenaci del tempo”. La “Tempa rossa” in cui inciampa il governo Total, non c’entra nulla con la tempra rossa del grande presidente della costituente.
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