I renziani

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 15 aprile 2016

Si parla tanto di mutazione genetica nel PD. Ma di cosa si tratta esattamente? Di questo, della nascita e diffusione di una nuova specie umana nel partito e nell’elettorato, i renziani. Compresi taluni succedanei, surrogati o fiancheggiatori. Su di essi se ne sono dette molte. Se ne sono persino elencati i caratteri specifici: nuovismo, ottimismo esarcebato, inappartenenza alla destra o alla sinistra (oppure appartenenza a entrambe, fa lo stesso), senso del potere, antintellettualismo (i libri sono roba vecchia), digitalizzazione, voglia di vincere (il successo misura tutto), meritocrazia (nel senso di chi è più bravo a dire ‘sì’ ed è veloce a ritwittare il Capo), superficialità portata al parossismo (anche la parola ‘superficiale’ va pronunciata superficialmente), riformismo spinto sino alla fase 2.0 dove la chiave è ‘riformare tutto, pure le riforme’, e infine lo ‘shish’, che non è nulla di specifico ma è dentro di loro, lo si assume nella cerimonia di affiliazione al renzismo e carica nel profondo i detentori come il lato oscuro della forza carica a pallettoni Dart Fener.

Tutto ciò, tuttavia, non basta a darne l’essenza profonda. Quello in cui i renziani sono davvero fenomeni è rivendicare il primato della politica senza sapere più nemmeno cosa sia la politica. Avendola ridotta a comunicazione, a primarie aperte, a partito liquido, a classi dirigenti cadute dal pero, a circoli che non pagano l’affitto, a riforme di cui non sai se siano un passo avanti, oppure indietro, o di lato, o chissà, a dichiarazioni che non sai se sono serie, o sono cazzate consapevoli, oppure flatus vocis tanto per andare in tv, ad annunci che non capisci nemmeno se avranno un seguito, se è ANCORA previsto un seguito in termini fattuali, concreti. Una politica in cui le istituzioni sono ‘serve’, o al più ‘di proprietà; gli aerei sono come quelli di Obama (e che io sono da meno?); le direzioni sono deferenti audizioni del premier, e poi si vota per acclamazione e fuochi pirotecnici; le ‘fiducie’ non sono atti straordinari, ma prassi inveterata, usanza, abitudine, tossicodipendenza; il senso del ridicolo nemmeno lo si percepisce più, ma un po’ piace; le leggi elettorali non sono più leggi ma sentenze divine, marchingegni celesti, faide dove chi vince piglia tutto, anzi lo pignora, compresa l’anima dell’avversario.

Non ci crederete. Eppure tutta questa disordinata caciara renziana, questo baccano infantile, questa cosa per cui si affida la guida dei TIR a chi ha scarse competenze persino di triciclo, questa festa di fine corso a cui partecipano un centinaio di outsider imbellettati, tutto questo insomma non produce un pieno, ma un vuoto. Un vuoto dentro cui cominciamo tutti a sentirci dispersi, un vuoto che genera silenzi angosciosi. E più gridano, rivendicano, annunciano, concedono bonus, esultano e si abbracciano negli emicicli e più questo vuoto cresce, si allarga, si espande, occupa tutto, anche gli interstizi, ogni anfratto, ogni ‘piega della società’ (come diceva lui). Un vuoto che sta svuotando anche chi dovrebbe invece resistervi, e questo non va bene. Il nostro compito (‘nostro’ di chi si ostina a non precipitare nel vuoto, appunto) è riempirlo di pensieri, cose, eventi, azioni, riflessioni, organizzazione, cultura, etica, fatti, progetti, storie, popolo, maestri. Colmare il vuoto con un pieno di umanità, saperi, politica e idee che il renzismo (compresi i fiancheggiatori) invece deporta e accantona, come se fosse la peste. Si tratta di ricostruire laddove tutto è bruciato in nome del potere, della vittoria, del successo e delle ambizioni di una élite scombiccherata. Non è facile, ci vorrà tempo, ci vorrà pazienza, ci vorrà cuore e passione, ma ce la dobbiamo fare.

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