di Michele Prospero – 18 aprile 2016
Il referendum mostra che c’è una significativa fetta di società che si mobilita ed è in grado di resistere in vista della prova di forza che il governo ha preparato per ottobre. Contro i palazzi del potere, la congiura del silenzio della grande stampa e della televisione pubblica, ci sono circa 16 milioni di italiani che vanno a votare.
E’ già iniziato, dalle sentinelle del regime, il gioco della minimizzazione studiato per incutere un senso generale di sconfitta. In realtà 16 milioni di votanti sono più dei consensi, come è stato notato da Staderini, che tutte le opposizioni raccolsero alle europee, quando peraltro la percentuale di votanti era vicina al 60 per cento. E quindi sta affiorando un preciso profilo della contesa politica dei prossimi mesi: la società contro i palazzi.
Questa polarità è il significato emerso dal referendum. Mai si erano visti palazzo Chigi e Palazzo Giustiniani chiamare i cittadini alla diserzione delle urne. E mai il capo dello Stato aveva scelto di recarsi ai seggi in ore notturne, per non farsi riprendere dalle immagini delle Tv e scontentare il presidente del consiglio. L’andreottiano Guerini, ora vice segretario del Pd, rompeva persino il silenzio tipico della giornata elettorale lanciando trionfalistici dati sull’astensione.
Una puzza di regime che allarma. E che raggiunge livelli di guardia mezz’ora dopo la chiusura dei seggi quando il presidente del consiglio irrompe sugli schermi a brindare per il successo del non voto. Chiunque abbia un briciolo di cultura liberale dovrebbe percepire l’allarme al cospetto di chi canta vittoria impossessandosi di un preteso mandato racchiuso nel 67 per cento dei non votanti. Le istituzioni corrono seri pericoli di involuzione demagogica e di deriva autoritaria quando al consenso reale sostituisce surrogati ingannevoli.
Il presidente del consiglio, che con distruttiva arroganza governa senza mai essere passato per una verifica elettorale, avrebbe dovuto evitare di assalire un residuo diritto di partecipazione che i cittadini ancora hanno in una democrazia ormai sotto sequestro. E soprattutto un premier che è salito al potere tramite manovre di palazzo non è autorizzato a cercare vie di legittimazione indirette, come il non voto a un referendum.
Quanti nel Pd conservano una cultura della costituzione dovrebbero fare di tutto fermarlo in tempo. Andrà a sbattere, con conseguenze irreparabili. Quello che evoca la gestione renziana del referendum è davvero una caduta in una democrazia minore, con forti venature illiberali. Avanza una concezione del potere che respinge il popolo come momento di investitura della rappresentanza. Non è un caso che Renzi abbia trovato un pronto alleato nel presidente emerito, ospite di Palazzo Giustiniani, che, considerando le urne come una malattia, già nel 2011 inventò Monti come senatore a vita per poi imporlo come “podestà forestiero”.
Il popolo è un fattore di disturbo (il grande statista Ivan Scalfarotto parla hegelianamente di “un’ammucchiata politica informe”), le manovre si fanno dentro i palazzi e il voto servirà solo come una ratifica stanca. Mentre tutti i giornali di regime celebrano il trionfo inesistente di Renzi e taluni (quello del costruttore romano) arrivano persino a sbeffeggiare i cittadini e gli intellettuali che hanno partecipato, la realtà è ben diversa.
C’è un blocco di ben 16 milioni di elettori che ha detto presente andando a votare comunque, nella certezza dell’irraggiungibile quorum. Si tratta di una consapevole massa critica che non è agevole, per il giglio renziano, superare nel referendum di ottobre. Già nelle vicine amministrative del resto il Pd potrà sperimentare la fuga di una parte consistente del proprio voto di opinione.
Il dispotismo di minoranza del Pd viene schiaffeggiato da quasi 16 milioni di elettori. Dal corpo elettorale è emersa una disobbedienza sostanziale rispetto alle indicazioni dei palazzi. Renzi non ha la cultura istituzionale per interpretare il senso autentico del voto. E quindi si rinchiuderà nel palazzo per provare a resistere con prove di forza e manifestazioni di arroganza che sfigurano la democrazia rappresentativa. Dovrebbe essere il suo partito, se davvero fosse un partito, a indicargli la via dell’abbandono. Ma il Pd non ha la consapevolezza strategica del carattere profondamente distruttivo del renzismo come pratica illiberale di gestione del potere. E quindi non offrirà una soluzione politica alla crisi di legittimazione.
Per questo a ottobre ci sarà la partita decisiva, con circa 16 milioni che sembrano già schierati. La società contro i palazzi. Un urto frontale. Con le inevitabili macerie che si incontrano quando la politica (in questo caso chi nel Pd non lavora per alternative a un Renzi sempre più in una distruttiva versione plebiscitaria) è disarmata e cieca.
Il potere potrebbe pagare caro lo sberleffo di Ernesto Carbone, della segreteria del Pd, contro i cittadini votanti. Dalle sudate carte (di credito) estrae pensieri luminosi. Tra un pin e l’altro spreme le meningi e in un attimo ricava il nuovo vocabolo “ciaone”. Che cultura, che raffinatezza. L’emulo della scenetta di Sordi contro “i lavoratori” dimentica che la macchina poco dopo il gestaccio si ferma (la Total…) e a Sordi non resta che la fuga vigliacca.


