Ma noi lo sappiamo che cos’è un teatro di periferia?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 2 luglio 2016

Ma voi lo sapete esattamente che cos’è una periferia? E cosa sia un teatro in periferia?

Ieri sera ero alla riapertura del Teatro di Tor Bella Monaca dopo un anno di stop, dovuto alle lungaggini del bando pubblico per l’affidamento della gestione. Ho visto Filippo d’Alessio il direttore del teatro (di cui Alessandro Benvenuti è Direttore Artistico) commuoversi nel suo intervento di saluto prima dell’esibizione (bellissima, tra l’altro) dell’Orchestra Bottoni. Allora ho capito una cosa che avevo già intuito, ma che d’improvviso mi è parsa più chiara ed evidente. È la passione che muove le cose, è il sentimento di vicinanza e di appartenenza, è la cura che si mette, è la partecipazione profonda. Filippo in quel momento sintetizzava tutto questo nel semplice gesto di commuoversi. La commozione mette a nudo i sentimenti più di ogni altra cosa, li esalta, li fa emergere, li testimonia senza alcun velo. Il progetto del teatro vince (70.000 spettatori in una quindicina di mesi tra il 2014 e il 2015, con l’obiettivo adesso di raddoppiarli) perché c’è dietro questo motore, questa umanità, che spingono meravigliosamente in avanti la proposta culturale. Certo servono risorse (che restano poche), lucidità intellettuale, sintonia con i tempi e con gli spazi, uomini che sappiano guidare il progetto, strategie. Ma senza passione, senza ciò che più di ogni altra cosa mette ‘anima’ al congegno, tutti quegli altri ingredienti non amalgamano, non funzionano, non interagiscono, impazziscono come la maionese.

tordi1

Il Teatro di Tor Bella Monaca non è solo un teatro, ma una casamatta culturale che dà spessore e rilevanza a un territorio strapieno di disagi e di speranze in gran parte sopraffatte. È la prova che la periferia non è puramente una cosa ‘distante’ dal centro (come se il centro fosse un paradiso e la periferia necessariamente un inferno), ma un territorio che va conquistato alla qualità sociale e culturale e all’interesse pubblico. A cui servono piazze per la socialità quotidiana; teatri, cinema, musei, biblioteche, scuole artistiche, centri di formazione e di promozione della socialità tutti rigorosamente pubblici oppure orientati pubblicamente; spazi pubblici e aree verdi; e poi iniziative di partecipazione, attenzione alle persone e ai luoghi, cura e interesse dei poteri pubblici piuttosto che marginalità e distrazione. Le periferie non si classificano per la loro distanza dal centro, ma in base alla trama sociale e culturale che le caratterizza. Le periferie sono mancanza di qualità, perché di quantità disconnessa e abborracciata abbondano. Non sono solo un problema di sicurezza, non sono solo disagio, non esprimono solamente abbandono. C’è forse più città (in quanto umanità e quotidianità) nelle periferie che in centro. Quello che manca è il senso di identità, la tenuta sociale, il lavoro, la partecipazione, tutto ciò che esprime soggettività e identità individuale e sociale. Per questo il teatro di TBM è già un pezzo della riscossa, così come lo è la metro C, oppure il parco e la nuova biblioteca comunale di Finocchio, sorti in edifici e spazi strappati letteralmente alla criminalità.

Vorrei dire ai pubblici poteri che l’amministrazione è ‘grande politica’ solo quando mette interesse pubblico concreto, cura e partecipazione, sennò è uno stanco rituale anche se appare buon governo. Vorrei dire a Filippo D’Alessio che magari ce ne fossero tanti altri come lui, magari la nostra classe dirigente, le nostre élite fossero come lui. Vorrei dire ai cittadini che stavano lì nella sala piccola del teatro ieri sera, che essi testimoniano una passione non solo culturale, ma civile: la maggior parte hanno comprato il biglietto a fiducia, senza nemmeno sapere cosa fosse l’Orchestra Bottoni. Vorrei dire ai tanti ‘periferici’ di Roma che una speranza c’è quando c’è la passione, che non è solo un sentimento ma un moto profondo dell’animo, una leva inossidabile, un’arma potente e pacifica di riscossa, che nessuno potrà mai disarmare, per quanto si adoperino. Siamo circondati di merci e oggetti (materiale e culturali) ingegnati da altri, scelti da altri per noi, impacchettati con cura per piacerci. Il mondo della globalizzazione, in fondo, è piatto e tutto uguale. Ma poi ci sono piccoli (grandi) miracoli locali che, a onta di ogni depressione sociale e culturale, accendono lumi che sono fari per chi vive della penombra periferica. Ecco. Sono questi segni, queste testimonianze che ci raccontano un’altra possibilità e ci propongono un’alternativa. Certo, so bene che sono altre e ben più potenti le leve da smuovere per trasformare gli attuali, ingiusti assetti sociali. Ma queste passioni, nei nostri deserti urbani, sono il filo che andrebbe tessuto primariamente, con cura, abilità, efficacia e poi seguito sino in fondo, verso una via d’uscita. Lontana, ma grazie alla passione di tutti, più vicina.

tordi2

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.