di Alfredo Morganti – 19 luglio 2016
La ‘nuova’ legge elettorale è già vecchia. Morta prima di nascere. Nonostante la fanfara della propaganda renziana che ne accompagnò l’approvazione in Parlamento.
L’Italicum, la legge elettorale renziana nata a colpi di fiducia e dichiarazioni roboanti, è morta ancor prima di nascere. È la dimostrazione lapalissiana, se volete, di come le iniziative del governo siano un fuoco di paglia, un’amplificazione a livello comunicativo e una drammatizzazione del nulla di nulla. L’Italicum è una specie di scatola vuota, inadatta al contesto politico in cui sorge, con un premio di maggioranza che riduce la questione della cosiddetta ‘governabilità’ a una barzelletta, questa: governa chi vince. Ma che siamo al bar? Ma quando mai si affronta un tema capitale per la democrazia a colpi di motti e mottetti come quello citato? Oppure quest’altro: ‘la sera della domenica si deve sapere chi ha vinto’. Come se la qualità del governo, ossia la politica, dipendesse dall’idea che il fatto stesso di vincere sia garanzia di forza politico-amministrativa. E non sia invece la qualità della rappresentanza, la fiducia nelle istituzioni, la prossimità del ceto politico ai propri elettori, la competenza e l’intelligenza politica i veri discrimini.
Una legge elettorale deve tramutare positivamente l’opinione politica diffusa nel Paese in una rappresentanza adeguata. La governabilità è solo l’effetto della bontà di questo meccanismo. Più il Parlamento gode della fiducia popolare, più è davvero prossimo all’opinione diffusa che lo ha espresso, più esprime leggi e governi all’altezza della situazione. Non corrisponde a questo una Camera di nominati e premiati, che per sua natura sarebbe lontana e, per definizione, non rappresentativa di chi è andato al voto. Dareste fiducia a qualcosa che non è vostro, che non conoscete? Io no. Pensate: vota all’incirca il 60% dei cittadini, la lista che al primo turno prende il 20% (ossia 1/5) di questo 60% (dunque il 12% effettivo dell’elettorato complessivo) potrebbe vincere il ballottaggio (con un voto spurio e trasversale) e prendersi il 55% dei seggi, che dovrebbero rappresentare di fatto il 55% del Paese. Il 12% reale dell’elettorato si porterebbe, così, a casa il 55% rappresentativo, con uno scarto negativo del 43% tra rappresentanza parlamentare ottenuta ed elettorato effettivo! Ditemi voi quale mente, in nome del motto ‘chi vince governa’, avrebbe potuto partorire questo obbrobrio, per di più in connubio con una riforma costituzionale che punta tutto sull’esecutivo e sulla verticalizzazione del potere!
Nel nostro Paese vige un clima di sfiducia e di distacco dalle istituzioni, giudicate lontane, non rappresentative del popolo e dell’opinione pubblica. Di qui la frattura. A questa frattura il governo risponde ingigantendola, accrescendo questo distacco. Puntando su un Parlamento che potrebbe essere ‘irrapresentativo’ sino a un indice differenziale del 43%, secondo il precedente esempio, forse più di quanto non sia oggi. Ma Renzi cosa crede, che i cittadini vogliano una forma di dittatura democratica, dove qualcuno in una torre d’avorio (Nazareno/Palazzo Chigi) decide segretamente in nome di tutti (Patto del Nazareno) e intanto si manifesta al popolo solo in forma di tweet? Be’, se è questa la sua ricetta dovrà ricredersi, se non lo sta già facendo. Non è con i motti da bar (‘governa chi vince’) che riuscirà ad ‘addensare’ socialmente e politicamente l’Italia. Semmai a produrre riforme definite ‘epocali’ ma che durano sì e no lo spazio di un mattino. Nella speranza del governo che gli italiani dimentichino in fretta le tante sciocchezze dette e fatte in questi tre anni.


