Il plebiscito che spacca il Paese

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 17 novembre 2016

È paradossale, davvero. Quando scatta l’ora del plebiscito, lo dice la parola, una valanga di voti si sposta storicamente a favore di chi lo ha indetto. Stavolta no, stavolta il plebiscito voluto da Renzi dopo aver diviso dapprima il Parlamento con la sua riforma costituzionale, adesso sta spaccando pure il Paese. Chiunque prevarrà, lo farà probabilmente con una maggioranza risicata, che una Costituzione non merita affatto, come sottolinea anche Massimo Franco sul Corriere. Il vero danno non è solo quello di avere storpiato il Senato, ad esempio, ma quello di avere spinto gli italiani a spaccarsi in un modo che lascerà segni profondi, difficilmente cancellabili. Si tratta peraltro di una spaccatura trasversale, che recide ortogonalmente la divisione destra-sinistra, la scompagina più di quanto già non sia. Esacerba gli animi, mette l’uno contro l’altro, per di più, su di un progetto neocostituzionale pasticciato e illeggibile.

Le Costituzioni servono a unire, non a spalancare burroni tra le forze sociali e politiche, non a seminare rancore, non a invelenire l’aria. Le Costituzioni sanciscono una rinnovata unità dopo una fase storica difficile, dopo una crisi, dopo un passaggio significativo, memorabile. Questa nuova manovra costituzionale, invece, calca la mano sulle divisioni, le approfondisce, anzi: sembra quasi che Renzi giochi tutto su questo, sulle dimensioni di questa spaccatura. Faccia leva sull’abisso politico, istituzionale, personale che si è aperto. Incapace di unità, che è contro la sua cultura (?) politica, gioca tutta la sua fortuna sulla disunità. Non calcola (o sì?) che comunque vada da qui dovrà ripartire, dal vuoto, anche se, come è probabile, tenterà di andare ad elezioni per molteplici ragioni (sia che vinca il Sì, deciso a saldare i conti – sia che vinca il No, costretto dalle circostanze). La nuova fase si aprirà poggiando sulle macerie di tre anni di governo vissuti pericolosamente, con continui rilanci, sfide, scommesse e una quantità insopportabile di chiacchiere mediatiche che il Paese, credo, non tolleri più. Non è tipo che molli la presa, per quanto voglia consolarci a dirlo, in caso di sconfitta. Ricorderemo la fase renziana come un grande guazzabuglio politico e istituzionale, foriero di ulteriore caos. E ci interrogheremo sul perché a un certo punto la classe politica si sia aperta sulle ali e gli abbia dato passo. Gli storici si sbizzarriranno.

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