di Fausto Anderlini – 18 dicembre 2016
1. Mattarellare ergo filosofare
Dunque basterà un ‘audace’ colpo di mano del solito noto. Reintrodurre in fretta e furia il ‘mattarellum’, evitare il referndum sul job act, recitare un requiem al governo Gentiloni e convolare alle urne. Uscendo così dal pantano. Non bastando le dolenti note di Michele Serra, Massimo Giannini su Repubblica inneggia alla mossa del cavallo dello statista di Rignano: “allo stato attuale il Partito democratico resta il solo pilastro sul quale ricostruire una piattaforma politico-culturale riformista e progressista [sic!], liberata da nomenclature servili e rancorose [doppio sic !] e risintonizzata con i “meriti e i bisogni” di un’Italia migliore delle sue classi dirigenti” [e qui niente sic!, ma triplo soc!, nel senso di soccia!]. Di nuovo il ‘primum vivere deinde philosophari’ di martelliana memoria. Senonchè la chiamata alla sopravvivenza di allora era sintonica a una certa congiuntura.
Il Psi demartiniano ridotto al 9 %, cioè sotto la linea di galleggiamento, e un leader nascente (Bettino Craxi) ingaggiato nella resurrezione facendo forza sulla ragion di partito. Mentre qui lo stato d’eccezione dovrebbe essere interpretato da un tizio uscito suonato dalle urne, un figther precocemente invecchiato, screditatosi da sè medesimo, da cui nessuno dotato di senno acquisterebbe sinanche una bicicletta, e con alle spalle non un partito, per quanto malconcio, ma una masnada goffa e puerile. E il Giannini toglie persino il ‘deinde’. Mattarellare ergo filosofare. Andare alle urne col mattarello in mano sarebbe già per costui tirare la pastasfoiglia. Senza neanche passare per un congresso, e opportunamente pisapiizzato (a sinistra) ed alfanizzato (a destra), col mattarellum il Pd ritornerebbe di punto in bianco quel faro del riformismo senza il quale gli ammiragli stregoni di Repubblica non saprebbero chi altri tenere a bordone della loro smisurata supponenza.
Tutto il groviglio italiano sarebbe ipso facto sbrogliato. Mentre la realtà è un’altra. E miserabile. Il Pd è transitato attraverso una impressionante serie di sconfitte ed è oggi ridotto a un ectoplasma. Distrutto organizzativamente e senza neppure organi di direzione funzionanti, ridotti a imbarazzanti torme di paludentes, senza numero legale nè decenza. Con gruppi dirigenti impreparati e pasticcioni, oppure divisi e disperati. E una linea politica (un pastone di neo-liberismo temperato) già fuori tempo massimo ed uscita pateticamente sconfitta. Soprattutto un partito che già nato male ha volontariamente distrutto ogni riserva identitaria per mettersi nelle mani dello pseudocarisma di un provinciale. Il dramma del ‘paese’ se volgiamo usare l’espressione retorica, è che il suo destino è appeso a questa roba qui. Sicchè solo risolvendo tal fricandò il ‘paese’ sarà in condizione di scegliere una strada. Togliendosi l’impaccio. Si può scegliere di fare un congresso, di provare almeno di farlo, in modo che la gente sappia con cosa avrà a che fare. E sarebbe il congresso fondativo mai fatto: identità, organizzazione, linea politica. Senza tema del tigrotto di carta che si ostina sulla scena. Magari con una sana divisione di quel che ne resta. Oppure di passare per le elezioni. Ma più che un lavacro, mattarellum o meno, saranno un giusto sterminio. Non solo della tigre di cartapesta e dei tigrotti di Rignano, ma anche di tutta la flora e la fauna che li accompagnano.
[sulla funzionalità a che cosa del Mattarellum dirò a brevissimo sul 2]


