Il PDR

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 16 febbraio 2017

Fa pensare il sostegno che Renzi dà a Macron, che dal PS se n’è andato al centro, vagheggiando un mondo dove destra e sinistra non esistono. È un po’ quel che vorrebbe fare lui, andarsene verso destra appunto, ma portandosi dietro il PD. Uno scissionista con tanto di marchio e ragione sociale del partito sotto il braccio. Per creare, finalmente, una ‘sinistra moderna’, che poi sarebbe la sinistra che va a destra, che spinge il partito erede di tante storie di popolo ad abbinarsi alle forze centriste, terziste, pragmatiche in termini naturali, quasi conseguenti. Per rinnovata identità. È da sempre che la sinistra ‘moderna’ è concepita come quella che deve andare a destra, che deve perdere le proprie ragioni ultime, quasi le considerasse zavorra. E se ne liberasse nell’intento di creare un partito del ‘fare’, delocalizzato, deideologizzato, fuori di ogni posizionamento ideale.

‘Fare’ e basta, senza chiacchiere, senza prese di posizione, senza opinioni né polemiche. ‘Fare’ senza più politica insomma. Specialisti, tecnici, uomini per tutte le stagioni ma ‘capaci’, al posto di quei vecchi dirigenti che sottilizzano troppo, che mediano, che pretendono un respiro strategico. Il PDR che ha in mente Renzi è esattamente questa cosa qui. Un partito non-partito i cui gruppi dirigenti nascano da un casting, siano composti da giovanotti che hanno studiato, magari telegenici, con l’idea che si debba ‘fare’ senza troppe chiacchiere e che la carriera istituzionale sia tutto. Per un PDR così i vecchi dirigenti sono una zavorra troppo ingombrante. Sono vecchia guardia, reduci, gufi. A lui servono invece tecnici, pronti a seguire entusiasti le sue ardite metafore calcistiche: scendere in campo, giocare di squadra, tirare in porta, fare goal. Tecnici, gente che prepari report, che affronti i dossier, che rubrichi i temi, che porti la soluzione, che calcoli costi e benefici e abbia sempre un occhio ai sondaggi.

Perché a ‘fare’ politica tanto ci pensa lui. A trattare, a mediare, a patteggiare segretamente. Il Capo appunto, che conosce il suo popolo, che parla al suo popolo, che chiede la conta. ‘Vediamo quanto popolo è con noi e quanto con loro’. Uno che fa ‘mosse’ e gioca ‘di contropiede’ con i suoi avversari. Li ‘mette con le spalle al muro’ per vedere se così restano dello stesso avviso, e ‘con che faccia’ sono disposti a continuare nella medesima richiesta ‘dinanzi ai cittadini’. Un partito smart, veloce, istantaneo come le vecchie Kodak, che fa congressi in due mesi, primarie in un giorno, acclama all’unisono in un minuto secondo. Un partito dove anche le Costituzioni si vorrebbero mutare a spinte e strappi, e le riforme approvarle con la fiducia e i ricatti. Un leader che pensa: i ‘comunisti’ tanto mi votano perché sono fedeli e gli altri li confondo con un po’ di fantascienza mediale. E che, in base a questi pensieri, pretenderebbe anche di cambiare davvero la Costituzione, magari stravincere le politiche e quindi farsi nominare imperatore a cavallo. Come Napoleone. Bum. Guardate invece la fine che sta facendo.

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