di Alfredo Morganti – 18 febbraio 2017
Oggi Speranza a Testaccio ha ripetuto: “La scissione già c’è stata”, e si riferiva ai tanti, tantissimi amici e compagni che sono già usciti dal PD. Un patrimonio umano, politico, culturale, affettivo che ha reagito così, andandosene, all’abbordaggio renzista, senza però mollare davvero. Io sono tra questi, e adesso sono qui fuori in piazza, davanti al maxischermo, perché dentro è strapieno. C’è molta gente anche fuori, peraltro, molti compagni che si aspettano qualcosa. Non tanto una ‘scissione’, non tanto un atto che, come dice Speranza già c’è stato, silenziosamente, di massa, e non credo sia recuperabile.
Qui fuori in realtà ci aspettiamo altre parole, non quelle che ci ripete a martelletto Renzi da quattro anni e più (e che ha ripetuto nella intervista metafisica e senza tempo, e tutta narrazione, niente analisi, di ieri al Corriere). Parole che indichino un percorso, dove temi come l’uguaglianza sociale, la povertà, la condizione degli ultimi, il disagio, siano centrali. Parole che in effetti si sentono a Testaccio, anche forti, accanto a una certa autocritica per la sinistra dei decenni trascorsi. Non sembrano parole di circostanza, il travaglio di questi giorni è sincero, non è questione di date, di modalità statutarie e basta. È come se l’abisso si fosse clamorosamente approfondito, e le differenze tra il renzismo e il resto siano maturate al punto da inasprire le distanze oltre la soglia ammissibile.
Io vedo almeno una differenza insuperabile tra le due ‘sponde’. Da una parte l’ossessione per le eccellenze individuali, per i valori e i meriti personali, per i diritti nella mera versione ‘civile’, per i primi della classe, i bravi, per chi sa addomesticare il proprio futuro personale, per chi sta al centro della giostra, per chi ha risorse e un bagaglio tali da consentirgli di affrontare a viso aperto le sfide quotidiane. Dall’altra invece, vedo l’attenzione per la dimensione sociale, per chi non ha la stessa percentuale di risorse ed energie dei ‘primi’, per chi non avuto le stesse chance, per chi viene da situazioni sociali svantaggiose, per chi è ultimo e spesso fuori classifica, per chi non ha tutti questi meriti e si arrabatta ogni giorno a vivere vite precarie, per l’abisso sociale che si spalanca quotidianamente tra chi occupa la vetta della piramide e chi la base, senza contare quelli che la piramide nemmeno la vedono, perché le loro periferie sono sempre più sconfinate e spaesanti. Ecco. La ‘scissione’ sociale è questo gap, spalancato tra chance individuali e disagio sociale, centri sempre più ristretti e margini sempre più ampi. Una scissione sociale e culturale che accompagna quella politica e la motiva ancor più. Che taglia di traverso il mondo, e anche le nostre intelligenze e le nostre sensibilità quotidiane.
Ora servirebbero davvero costituenti, partiti, soggetti che questo lo abbiano ben chiaro. E lo trasformino in ipotesi di lavoro. Non è solo questione di ricchezze reali mal distribuite, di 1% e di 99%. Ma anche di ricchezze sociali, opportunità diffuse, scuola e cultura, animi che vorrebbero vivere la loro vita senza essere azzannati dai denti aguzzi della retorica, dello sfruttamento, delle disuguaglianze, delle umiliazioni. Nel mio piccolo dico che questo è il pezzo più rilevante della questione politica e sociale oggi. E che la sinistra dovrebbe impugnare questo vessillo. ‘Scindersi’ ma per cogliere questa ‘scissione’ sociale di fondo. Ripartendo dalla crisi non dalle narrative estemporanee. Voltando pagina, anzi strappandola questa pagina. Non si scappa.


