di Alfredo Morganti – 26 maggio 2017
Il potere può essere declinato in tanti modi: come forza, come servizio, come possibilità, come potenza. O come tutte queste definizioni assieme, in quote variabili. In questi anni tuttavia, lo stormo di 40-50enni che si è addensato attorno e dentro il Palazzo ha immaginato (e proposto) del potere una versione univoca, tutta centrata sul comando. Vanno letti così la disintermediazione (ossia la marginalizzazione dei corpi intermedi); la legge elettorale con super premio di maggioranza; la Costituzione che ‘asciuga’ le leve del potere e lo verticalizza; il continuo richiamo all’idea di ‘governabilità’; la sciocchezza di volere ‘un’ vincitore la sera stessa delle elezioni e per cinque anni, senza nessuno che molesti il conduttore; i ‘patti’ segreti, che si sottraggono di fatto all’opinione pubblica; questo insistere sull’uomo solo al comando; una visione del potere sempre più ‘monarchica’, personale, individuale; l’occupazione dei media come pulpiti da cui inondare gli utenti legittimando la propria posizione di tronista. Ecco. La fase è stata lapidariamente descritta da Massimo D’Alema nell’intervista al Corriere: “Il messaggio era: vi porto al potere e ci resteremo vent’anni. Ecco il grande miraggio che ha sedotto un intero ceto politico”.
Andiamo a comandare, questo il succulento invito rivolto a 40-50enni di tutte le venture, di tutte le bandiere, correnti, ideologie, sensibilità, tutti pronti a raccogliersi sotto l’ombrello renziano come una specie di blob. La politica, che per tanti anni è stata declinata come forza che cresce e che si candida progressivamente al potere (e già sempre lo è, di fatto), è stata febbrilmente conquistata all’idea di ‘vittoria’. Una sorta di ritorno all’Ora X, ma non in vista di un’insurrezione, piuttosto per fare il gioco delle poltrone e prendersi la meglio. Ecco perché la domenica sera ci deve essere il vincitore, perché faccia in tempo a programmare il proprio trasloco a Palazzo Chigi, nella certezza di un contratto di affitto lungo e indisturbato. Insomma, l’aria è stata quella della chiamata alle armi per andare a comandare, per esercitare un potere inteso solo come comando. Così che l’arroganza ne diventa un logico corollario: la rimproverano a D’Alema, ma lo fanno arrogantemente. E peraltro, nella stessa intervista al Corriere, (riportata in calce) il Lider Maximo non la nega, ma la chiarisce: “Io posso essere arrogante con i prepotenti; non mi permetterei mai di esserlo con l’interesse del Paese”. Com’è stato, invece, in questi anni.
Chiudo con quello che ho letto ieri in un post di una turco-renziana, che presenta i dati di un sondaggio Ipsos, dove si dice che Renzi e Grillo avrebbero più o meno il 30% ciascuno, mentre Articolo 1 intascherebbe un 3,2. Come dire: siete dei perdenti, non contate niente, non potreste mai aspirare alla ‘vittoria’, le ‘soglie’ vi sbarreranno l’accesso in Parlamento, siete già morti. Ecco appalesarsi quel che dicevo: solo il vincente conta, il resto è monnezza. Avrei voluto ricordarle che la sinistra nasce per stare con gli ultimi, per entrare nelle contraddizioni dalla parte degli sfruttati, per dare forza ai subordinati. La ‘naturale’ collocazione della sinistra è lì, in basso, nel tentativo di conquistare forza ogni giorno e poi poterla spendere già da sempre nel Paese, e poi in Parlamento e magari al Governo. La sinistra non si reca al tavolo dei potenti per servire le pietanze, in cambio di una specie di equivoca legittimazione. E comunque, avere il 3% iniziale di buone ragioni non è una brutta cosa, anzi. Anche perché, animati dalla smania di ‘vincere’ (adesso!) e di prendersi una scrivania, si finisce per tentarle tutte, ma proprio tutte, anche scegliersi pessimi compagni di strada o pessime idee. O meglio, nessuna idea, tanto a che servono, sono solo zavorra, ci impediscono di correre verso il traguardo, no? Il ‘vincente’ non ha idee, solo arroganza.
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L’intervista di Massimo D’Alema sul Corriere della sera del 25 maggio
D’Alema«Un partito unico a sinistra del Pd. Renzusconi tira la volata a Grillo»
di Aldo Cazzulo – 25 maggio 2017
Massimo D’Alema, valeva la pena fare tutto questo per fondare un partitino del 3%?
«Ognuno deve fare quello che corrisponde ai propri valori. Meglio prendere il 3% a favore di ciò che si ritiene giusto che il 20 a favore di ciò che si ritiene sbagliato. E comunque io credo che lo spazio a sinistra del Pd sia molto più grande».
Era proprio inevitabile la scissione?
«Inevitabile e persino tardiva. Bisognava farla prima: era matura già con il Jobs Act. Tutta l’ispirazione politica renziana è contraria ai valori della sinistra e prima ancora agli interessi del Paese. Il renzismo non è stato che il revival del berlusconismo».
«Meno tasse per tutti. Bonus. Abolizione dell’articolo 18. Financo il ponte sullo Stretto. Mi stupisco che Berlusconi non si rivolga alla Siae per avere i diritti d’autore. E per due anni e mezzo si è paralizzato il Parlamento per una riforma costituzionale confusa, spazzata via dal popolo; e per una legge elettorale incostituzionale, frutto di un mix di insipienza e arroganza».
Alla Siae il copyright dell’arroganza è suo.
«No. Io posso essere arrogante con i prepotenti; non mi permetterei mai di esserlo con l’interesse del Paese. Renzi ha imposto una legge elettorale solo per la Camera, dando per scontato che il Senato venisse abolito. Ora siamo alla vigilia delle elezioni e la legge elettorale non c’è. Il fallimento del renzismo non potrebbe essere più totale; ma nessuno ha il coraggio di scriverlo, per non fare la fine di Campo Dall’Orto».
Si lavora a un accordo sul modello similtedesco.
«Un vero maggioritario, sul modello del Mattarellum, lo avremmo apprezzato. Ma in commissione è stata approvata una legge escogitata dal senatore Verdini, che con il Mattarellum non ha nulla in comune. Si vota con un’unica scheda, su cui tutti i partiti presentano il loro simbolo; però collegio per collegio possono decidere di presentare anche un candidato. Una legge immorale, che genera accordi di potere di natura notabilare, ricatti, condizionamenti: in venti collegi do via libera a Verdini, ad Alfano garantisco che nessuno si presenterà contro di lui ad Agrigento… Questo nella tradizione italiana si chiama trasformismo. Torniamo all’età giolittiana senza Giolitti, ma con tanti piccoli Depretis».
Perché ce l’ha tanto con Verdini?
«Sono i magistrati che ce l’hanno con lui, non io. È un uomo intelligente. Renzi si è scelto un consigliere di qualità: un professionista. Che però non esprime l’idea di rinnovamento del Paese cui penso».
Renzi e Berlusconi trattano sul proporzionale con sbarramento al 5%.
«Rispetto a un pastrocchio, meglio una soluzione europea; ma il vero modello tedesco avrebbe bisogno di modifiche costituzionali, come la sfiducia costruttiva».
Oggi a sinistra del Pd ci sono tre partiti: il vostro, quello di Pisapia e quello di Vendola. Vi metterete insieme?
«C’è molto altro. Ci sono i comitati per il No di Zagrebelski, c’è un pezzo importante di società civile, il mondo del cattolicesimo democratico. Sono forze che devono unirsi in un’alleanza per il cambiamento, aperta a tutti quelli che vogliono dare vita a un programma di centrosinistra».
Quanto potrebbe prendere questo nuovo partito?
«L’alleanza per il cambiamento ha una potenzialità che va molto al di là della somma delle singole forze. Dovrebbe nascere da un processo costituente, attraverso la rete e una serie di assemblee, con una grande consultazione programmatica. E dovrebbe comportare elezioni primarie sia per l’indicazione dei candidati (un punto forte dell’intesa Berlusconi-Renzi è il mantenimento delle liste bloccate), sia per la scelta di una personalità che guidi questo processo».
Pisapia?
«Chiunque sia deve essere scelto dai cittadini. Io non sono candidato».
È una fortuna, visto che Renzi non vuol fare accordi con un partito in cui ci sia anche lei.
«Il suo modo dilettantesco di governare ha creato danni enormi al nostro Paese. Che piaccia o no a Renzi, D’Alema c’è: se ne faccia una ragione. L’Italia ha bisogno di una svolta profonda e di una nuova politica economica, incentrata sugli investimenti. Siamo l’unico Paese che la commissione europea critica da sinistra, chiedendoci di rimettere l’imposta sulla prima casa almeno ai ricchi».
Ma ha risposto di no Padoan, uomo un tempo a lei vicino.
«Il primo a dire di no è stato Renzi; Padoan si allinea, e mi rattrista. Renzi si è convinto che, declinando Berlusconi, il vero compito del Pd fosse eliminare la zavorra a sinistra e occupare il centro del sistema. Il messaggio era: vi porto al potere e ci resteremo vent’anni. Ecco il grande miraggio che ha sedotto un intero ceto politico».
Compresi quasi tutti i dalemiani.
«E con questo?».
Forse in Renzi c’è qualcosa anche di D’Alema. Pure lei voleva superare l’articolo 18 e si scontrò con Cofferati.
«Proposi due anni di franchigia per le aziende che crescessero oltre i 15 dipendenti. Un’idea intelligente, che a regime non avrebbe ridotto ma esteso le tutele per i lavoratori. Il problema dell’Italia non è la flessibilità del lavoro, garantita fin dalle norme Treu. Il problema è la scarsa produttività. La precarizzazione non lo risolve; lo aggrava».
Se Renzi è un tale disastro, perché ha stravinto le primarie?
«Perché non ha detto la verità sul suo progetto: allearsi con Berlusconi. Del resto, il suo modello è House of Cards, e uno dei cardini della sua politologia è non dire la verità. Ma l’ammucchiata di forze “responsabili” mi ricorda più Razzi e Scilipoti che Moro e Berlinguer. Una parte secondo me maggioritaria del Pd vuole il centrosinistra. Il “Renzusconi” non mi pare molto popolare, anzi tirerà la volata a Grillo».
Bersani con Grillo vorrebbe dialogare.
«La gente vota Grillo non perché è impazzita, ma perché è indignata dalle ingiustizie: se non paghi il mutuo ti portano via la casa; ma se un imprenditore non restituisce il miliardo che ha avuto in prestito non perde nulla, e le banche vengono ricapitalizzate con il denaro dei contribuenti. Nell’ambito di una ricerca il 28% dell’elettorato dei Cinque Stelle si è detto di sinistra; ma dichiara di votare Grillo perché la sinistra non c’è più».
Cinque Stelle costola della sinistra?
«Stiamo lavorando per offrire agli elettori una proposta alternativa di sinistra. Ma, attenzione: i 5 stelle non sono percepiti come il Front National. Marine Le Pen non ha sfondato grazie a Mélenchon, che ha intercettato parte del voto operaio. Se uno vede la Torino della Appendino e del trionfo del Salone del libro, non gli viene in mente il fascismo».
Meglio Grillo di Renzi?
«Né Grillo, né Renzi. Noi vogliamo offrire al Paese un’altra scelta».
Anche lei è favorevole al reddito di cittadinanza?
«Parlerei di reddito di inserimento: una formula più selettiva e più sostenibile. Ma il messaggio rivolto alla parte più debole del Paese è importante. Nel dopoguerra non si era mai visto un tale livello di disuguaglianza sociale. Cinque milioni di italiani non sanno se domani avranno da mangiare. Altri rinunciano a curarsi perché non possono pagare i superticket; infatti l’aspettativa di vita decresce. E il governo ha stanziato il bonus libri per tutti i diciottenni, compreso il figlio del professionista; che i libri se li può comprare, oppure leggere nella biblioteca di papà. In queste condizioni, come stupirsi se la gente vota Cinque Stelle? Dobbiamo offrire un’alternativa a chi vuole esprimere un voto di protesta o astenersi».
Che idea si è fatto del caso Boschi?
«Si dovrebbe fare la commissione d’inchiesta sulle banche, quella che il Pd dice di volere ma in realtà boicotta. Conoscendo de Bortoli, sono incline a pensare che la sua versione sia vera. Se Ghizzoni la confermerà, la Boschi dovrebbe andarsene. Mi domando se non si configurino un abuso di potere e un reato ministeriale».
I renziani le ricordano spesso l’acquisizione di Banca 121 del suo protetto De Bustis da parte del Monte dei Paschi.
«Io non ci sono entrato per nulla. Trovino un dirigente Mps che dica che io chiesi di comprare quella banca, peraltro molto performante. De Bustis lo conosco; ma non è mio padre. Non siamo neanche parenti».
È vero che il suo partito farà cadere Gentiloni se reintroduce i voucher?
«I voucher sono stati aboliti per evitare il referendum; ora li si vuole reintrodurre per decreto. Come definire una condotta del genere, se non come il gioco delle tre carte?».
Come sta governando Gentiloni?
«Meglio di Renzi; ma non ci voleva molto. Ci è stato detto che dovevamo turarci il naso e votare Sì al referendum perché Renzi era insostituibile. Renzi è andato via e non c’è stato il diluvio. In realtà siamo tutti sostituibili, compresi Renzi e Gentiloni. Considerata la qualità del governo del Paese, non è difficile pensare che possano essere sostituiti in meglio».


