Gli specialismi e la politica

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 21 giugno 2017

La possibilità di elezioni a ottobre, poi rientrata, ha fatto comunque partire in anticipo il circo elettorale. Una volata così ‘anticipata’, appunto, porterà allo sfiancamento di molti, e allo sgonfiamento di altri. Tra tre-quattro mesi, magari, la scena potrebbe essere diversa. Con altri protagonisti e altre ipotesi. Per adesso il panorama è convulso. Ma è soprattutto caratterizzato da tentativi che ancora denunciano un vuoto di politica, e un prevalere invece della polemica personale, di un certo radicalismo intellettuale e pure di un entusiasmo per ciò che divide piuttosto che per ciò che unisce. Quest’ultima cosa l’ha sottolineata in particolare D’Alema, oggi, in un’intervista al ‘manifesto’.

E poi c’è un’altra cosa che ha detto, e che è relativa allo stato del nostro Paese: una situazione grave con la ripresa che non arriva, le disuguaglianze che crescono, la disoccupazione che macina percentuali. Qui serve una proposta di governo, non solo un arroccamento identitario, non un confine attorno, ma una disponibilità a spendersi. E, dunque, non una chiusura di tipo difensivo ma un piano di attacco. D’altra parte chi si asserraglia in un castello aspetta solo l’iniziativa dei nemici, è pronto all’assedio, forse al sacrificio, nulla più. E magari ci sono momenti che serve una guerra di movimento (accorta, sagace, oculata) piuttosto che chiudersi in qualche casamatta, pur se dorata, in attesa di eventi futuri. Chissà quali. Una lunga traversata non è mai una cosa da asceti. Né da irresponsabili. Nel qual caso sarebbe solo una processione oppure un percorso analitico collettivo, incline a sfociare presto in uno psicodramma.

Lo dicevo ieri. La politica lasciata in mano a intellettuali radicali, per quanto rispettabili, intelligenti, brillanti, da leggere e ascoltare, rischia di finire in un fossato. Non saranno gli specialisti a indicare una prospettiva, al più saranno pronti a criticarle tutte. E non sarà la critica, da sola, a stringere in unità. Né serve ramificare l’analisi sino a dettagli minimi e coacervi impraticabili, ai confini della semantica. Come dice D’Alema (ma come ha detto più volte anche Bersani, e non solo lui), abbiamo un dovere: offrire al Paese una chance, testimoniare un “senso di responsabilità” e mostrare un “senso di gravità della situazione”, senza cui le riflessioni si acconciano a ghirigori, guazzabugli di idee, intrichi intellettuali, indignazioni, esercitazioni teoriche. La politica senza un ‘terreno’ (senza le condizioni reali del reale, senza un contesto, la cognizione di una fase, senza un’idea della vita quotidiana con tutti i suoi disagi) può solo dividere invece di unire. Io ricordo soltanto che la mia scuola politica (il PCI) mi diceva che senza l’unità sono solo chiacchiere. Senza il PCI oggi sarei un predicatore nel deserto (con tutto il rispetto) oppure un indignato. No grazie.

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