di Alfredo Morganti – 25 agosto 2017
Sono molto d’accordo con Francesco Laforgia e con le parole che ha scritto ieri in un post: “Pensare che per difendere i penultimi devi trattare in questo modo infame gli ultimi, non solo è un grande inganno ma il segno di una regressione, sul piano della nostra civiltà”.
Ecco dobbiamo acconciarci all’idea che noi proletari o ceto medio occidentale, che viviamo anche in condizioni di impoverimento e di terribile disuguaglianza sociale in casa nostra, non siamo affatto gli ultimi di questo mondo. Che lì, all’ultimo gradino ci sono i diseredati, quelli che prima avevano una casa, un mondo, una storia e che oggi non hanno più niente, e in gran massa vengono a cercare tutto ciò qui da noi. E hai voglia a dire che non è giusto che lascino le loro case, se le loro case sono minacciate o già non esistono più, e i loro sogni e la loro vita si sono già spezzati.
Dice bene Laforgia, è infame trattare in modo così brutale gli ultimi (è il caso dei rifugiati eritrei a Roma, ma non solo), nell’idea che ciò possa servire ai ‘penultimi’, agli abitanti dell’Occidente europeo e americano. Perché solo ‘nazionalizzando’ i conflitti, le persone, le idee, lo sfruttamento, solo pensandoci ‘cortile’, con un recinto e un cancelletto aperto alle merci ma non agli esseri umani, solo ritenendo l’emigrazione una forma di cosmopolitismo sociale, e non un evento epocale – solo così si può immaginare di non vedere più gli ‘africani’ in fuga. E invece quelli che riteniamo ci ‘minaccino’, e che pensiamo di ricacciare indietro con le guardie costiere e gli accordicchi coi governi locali, sono i veri ultimi, e sono talmente tali e minacciano così tanto le nostre fedi e le nostre certezze intellettuali, da spingerci a imbracciare ogni sorta di realismo politico o amministrativo o ‘tecnico’ pur di non vedere più le loro fattezze sulle nostre coste, pur di vederli sparire dall’orizzonte, pur di rimuoverli e non sentirne il ‘peso’, e sentirci perciò più tranquilli.


