Del PD resta solo il sarcasmo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 10 novembre 2017

“Niente di drammatico; la storia ha retto ben altre tragedie”. Dice così, quasi con sarcasmo, Goffredo Bettini oggi a Repubblica, dinanzi alla ipotesi che Renzi faccia il Macron italiano e chiuda di fatto l’esperienza del PD. È un sarcasmo che fa il paio con il “ce ne faremo una ragione” detto dai renziani dinanzi alla scissione da cui è nato Articolo 1. Se dinanzi a eventi politici di grande portata si fanno le spallucce e si risponde con sarcasmo, vuol dire che al PD non stanno nemmeno alla frutta, ma al digestivo finale, grazie al quale tentare di inghiottire anche i rospi. Un partito che finisse così, per squagliamento, per inerzia, con la stanchezza delle battute sarcastiche, vuol dire che non è mai nato davvero. Nemmeno si sarebbe trattato di un amalgama non riuscito: diciamo che sin dapprincipio non si tentò con convinzione nemmeno il mix. Bersani (e quelli che oggi sono usciti) avevano tentato (ora è chiaro) l’impossibile, ossia rianimare una cultura politica, proporre un soggetto politico che non fosse solo loft o cartello elettorale. Ma non potevano riuscirci. Le condizioni era improbe. La prova è stata la facilità con cui un outsider ha potuto scalare il partito dopo una gita ad Arcore. Si fa prima a rifare tutto daccapo che a tentare una complessa e articolata ricostruzione del vecchio in disfacimento. Tutto quello che Bettini sa dire è: andiamo divisi nel proporzionale, ma tentiamo almeno di fare l’unità nell’uninominale. Piccolo cabotaggio elettorale destinato a fare la stessa fine del PD, a spargere fango e macerie attorno, e a gettare altro sale sulle ferite dell’elettorato.

Il paradosso è che, se anche il Partito Democratico di Renzi raggiungesse percentuali prossime al 30%, si tratterebbe di numeri sparsi senza futuro, forza elettorale prodotta da condizioni contingenti, ricolorazione di un marchio senza più un prodotto dietro. L’auspicio in realtà è che questa agonia politica si concluda rapidamente. Decidessero loro come ciò debba accadere: per macronismo, per presa d’atto, per squagliamento inarrestabile, per Big Crash, per non so che. Sarebbe un modo per fare chiarezza. Dopo di che scatterà la responsabilità di farci tutti carico di quella esplosione, recuperando risorse ed elettorato a un’altra prospettiva, di sinistra plurale, democratica, riformatrice, impegnata a rimarginare le ferite sociali e umane che minacciano il nostro Paese e a colmare gli abissi di diseguaglianza e di disagio che segnano la nostra vita pubblica e persino le nostre anime. Sarà un passaggio lento, faticoso, che impegnerà tempo, fatica, futuro. Ma che deve partire senza equivoci, coinvolgendo le culture della sinistra, le diverse sensibilità, i soggetti sociali a partire dagli ultimi. Un progetto pluralista che garantisca l’esistenza di ogni voce, e non faccia percepire le minoranze come scomodi gufi, come zavorra che, se va via, basti farsene una ragione. Sarebbe davvero una rivoluzione politica, in un Paese dove la sinistra segna una crisi profonda, mai così grande, della sua tradizione e delle sue prospettive. Oggi il percorso si sta chiarendo, i contenuti si precisano, la leadership sta prendendo forma. La fase costituente traccerà una linea comune. E in fondo alla via, pian piano, potrebbe comparire un partito nuovo, del lavoro, della cultura, della democrazia, dell’uguaglianza. I fiori migliori nascono sempre dalle macerie. L’ottimismo della volontà, accanto al pessimismo dell’intelligenza.

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