di Alfredo Morganti -24 novembre 2017
Matteo Pinci, oggi su Repubblica: “Patrick Urbini ha scritto sulla rivista France Football che nel tempo [noi italiani nel calcio] abbiamo sacrificato la creatività e l’inventività sull’altare del risultato a tutti i costi, incapaci di reinventarci. Siamo ostaggi del risultato come fine e non come conseguenza, una filosofia che era la nostra forza e non lo più”. Ecco il primo caso in cui non è la politica a usare metafore calcistiche, ma il calcio a fornirci uno schema di lettura anche della politica. Dice Urbini che concepiamo il risultato come fine immediato, non come l’effetto conclusivo di qualcosa che deve accadere prima e che deve renderlo viepiù possibile. È come se dicessimo che la ‘vittoria’ è l’unico, il solo obiettivo, quello immediato, e tutto il resto non contasse niente. E non contasse, quindi, la ‘forza’ necessaria a conseguire quell’esito, che invece andrebbe costruita, accumulata, gestita strategicamente, modificandone i rapporti. E dentro la forza ci sono la cultura politica, la rappresentanza parlamentare e sociale, la leadership, le risorse, la tattica e la strategia, la rissa quotidiana e la prospettiva lunga, i contenuti. Ecco la strada da seguire, altro che farsi catapultare direttamente alla meta. Solo così si esce dalla logica elettorale, e si entra in quella politica, che ha tempi lunghi, sfumature complesse, mediazioni e anche momenti non totalmente ‘mediatizzabili’. Proprio Urbini accenna alla ‘forza’ e alla filosofia che ci sta dietro, che non è quella meramente agonistica o tipo ruota della fortuna, ma prevede una costruzione della soggettività e della sua cultura, una visione istituzionale, una trasparenza della composizione e delle figure sociali in gioco e dei loro rapporti attuali.
Questa è stato la politica di questi anni. Una ricerca ostinata di ‘vittoria’ a onta di tutto. Squadre-coalizioni che nascevano e morivano nello spazio di un mattino oppure sopravvivevano a se stesse, come simulacri. Mosse comunicative pensate solo per garantire vantaggi immediati in termini di consenso, presenza ostinata e forzosa sui media e nell’immaginario, programmi privi di un’identità secca e il ricorso a schematismi destinati a ottenere esiti immediati sennò niente. Eccolo il ‘fare’, la prassi ridotta a un movimentismo quotidiano che esclude come ‘zavorra’ la cultura e la mediazione. Interpreto, allora, la “creatività” di cui parla Urbini come costruzione anche eterodossa di una ‘forza’ del pensiero, come risorsa che consente di tentare percorsi e strategie che esulino dalla ricerca di un incasso immediato al bussolotto delle urne. Come costruzione delle condizioni necessarie per la vittoria, non bramosia della vittoria tout court. Non perché sia sbagliato tentare di ottenere un buon risultato elettorale, anzi. Ma perché in realtà quel risultato si ottiene davvero pensando al percorso da fare piuttosto che immediatamente alla meta da raggiungere (la vittoria): alla qualità di quel percorso, alla sua aderenza ai bisogni del Paese, alla proposizione di contenuti capaci di ‘riformare’, cambiare rapporti di forza, rappresentanza ed equilibri a vantaggio degli ultimi e dei penultimi. Il lavoro ‘preparatorio’ della vittoria oggi viene rigettato, scavalcato, cancellato nella sua necessaria mediazione, per concentrarsi solo sul risultato finale, appunto, che così, però, non verrà quasi di certo.
Faccio un esempio. Pensate la differenza che c’è tra una slot machine e il gioco del biliardo. Là si tira una leva e si tenta la fortuna più sfacciata. Qua la partita va costruita, le palle ‘acchittate’, il gioco aperto. E se lo fai bene puoi anche vincere, sennò è difficile. In ogni caso hai progettato e costruito ‘forza’ da spendere nella contesa. Perché a biliardo non si vince ‘sbocciando’ alla bene e meglio. Che è quello che sta facendo, invece, il centrosinistra renziano con le sue coalizioni-ammucchiate, e che non fa e non deve fare la nuova sinistra unita, concentrandosi invece sui contenuti e sulla necessità di cambiare il Paese secondo una forza anche organizzativa da costruire e un percorso ancora tutto o quasi da disegnare.


