di Gian Franco Ferraris – 26 febbraio 2018
«Andiamo a riprendere chi si è perso nel bosco». Traduzione dal bersanese: andiamo a caccia degli elettori che votavano Pd ma adesso sceglierebbero altri partiti o l’astensione.
Pierluigi Bersani ha affrontato questa campagna elettorale con la proverbiale generosità; è candidato, oltre che a Bologna, nei posti dove Liberi e Uguali ha manifestato la sua popolarità, come in Veneto, e si è reso diponibile a incontri e dibattiti in tutti i centri d’Italia compresa la provincia, da Tortona a Aulla. Dappertutto le sale sono gremite ed è accolto dall’affetto del popolo di sinistra.
Indubbiamente Bersani se lo merita, ha dedicato la propria vita all’attività politica: onore al merito.
In queste elezioni sostiene con lealtà Pietro Grasso che si è impegnato nel difficile compito di ricostruire una sinistra riformista nel Paese: nel 2013 da segretario del Pd venne candidato a premier dopo che aveva sconfitto proprio Renzi alle primarie dell’anno prima. In quell’occasione Renzi aveva già fatto propria la parola d’ordine della rottamazione e D’Alema rinunciò a candidarsi. Bersani vinse le primarie, ma a febbraio, alle elezioni politiche, clamorosamente non vinse grazie a una delle ormai numerose e vergognose leggi elettorali (il Porcellum) ma ottenne la maggioranza assoluta alla Camera e un’ampia maggioranza relativa al Senato. Fu l’inizio di una fase complicata, di corto respiro, dove per la prima volta e per certi versi inaspettatamente irruppe in Parlamento il movimento 5 stelle.
Furono i giorni di Giuda di gran parte dei parlamentari del Pd che erano stati scelti dalle primarie e che in gran parte avevano sostenuto Bersani come segretario del Pd fin dal 2008.
Si iniziò da subito con la bocciatura nel segreto dell’urna della candidatura di Franco Marini a Presidente della Repubblica da parte di centinaia di parlamentari del Pd. Bersani aveva proposto tre nomi a Berlusconi e l’accordo cadde proprio su Marini mentre i 5 Stelle rifiutarono qualsiasi accordo e votarono Rodotà.
In quei giorni in alcune sezioni i militanti strapparono le tessere gridando allo scandalo (????) e Marini ritirò la candidatura (al quarto scrutinio sarebbe stato eletto), gran parte del “popolo del Pd” invocava la candidatura di Prodi che evidentemente non poteva essere accettato dalla destra. Ma nel momento in cui Bersani propone Romano Prodi, che viene acclamato dai parlamentari del Pd riuniti in assemblea plenaria, il giorno dopo viene “tradito” da almeno 101 grandi elettori sempre del Pd.
Viene così rieletto Giorgio Napolitano che nel discorso dell’investitura a Presidente impone le larghe intese tra le acclamazioni in delirio di tutti i parlamentari (a parte i 5 Stelle).
Il Pd va al governo con le larghe intese di Enrico Letta.
Bersani lascia la guida del partito e poco dopo con le primarie Renzi diventa segretario del Pd e firma con Berlusconi il “patto del Nazareno”, un accordo che dà origine all’Italicum e alla riforma costituzionale, dalla quale però Berlusconi si sfilerà.
Dal Nazareno parte la scalata di Renzi per Palazzo Chigi. Poco meno di un anno di vita per il governo Letta e arriva l’sms di Renzi con “Enrico stai sereno”. Letta lascia il governo, sfiduciato dal suo partito, Renzi ne prende il posto, agevolato anche dall’ictus che nel frattempo ha colpito Pierluigi Bersani: in questi giorni ho pubblicato su Nuovatlantide la testimonianza bellissima e drammatica del fratello di Pierluigi Bersani.
Letta, amareggiato, si dimette da deputato e va a lavorare a Parigi. La fotografia in copertina ha immortalato l’incontro tra Enrico Letta e Bersani durante il voto al governo Renzi al momento del ritorno di Bersani dopo il delicato intervento.
I deputati del PD, se potessero tornare indietro, di certo non tradirebbero più Bersani, per convenienza se non per morale, perchè con il governo Bersani ora avrebbero qualche probabilità in più di essere rieletti. Sarebbe stato meglio anche per gli italiani perchè Bersani è più competente e meno condizionato dalle lobby e avrebbe governato il paese meglio di Renzi.
Col senno di poi, si è capito come è andata: Bersani non andava bene alle lobby che spadroneggiano nel paese; dato che Berlusconi era (momentaneamente) fuori gioco, le lobby hanno temuto che il finto bipolarismo fosse alla fine e hanno ideato il piano di liquidare la sinistra e rimpiazzarla con il partito della nazione, che avrebbe dovuto essere l’asse portante dell’Italia.
Solo che Renzi si è dimostrato inadeguato a ricoprire questo ruolo. Ci attende, quindi, un periodo di bufera, in attesa che i poteri individuino un nuovo “unto del signore”.
Ho conosciuto Pierluigi Bersani nel 1997, era Ministro del governo Prodi e senza preavvisò venne da queste parti a Ricaldone in pellegrinaggio sulla tomba di Luigi Tenco e l’allora sindaco DS Celestino Icardi mi invitò a prendere un caffè. A volte ripenso a quell’incontro, mi sorprese la sua umanità e mi dispiace di essere stato noioso e polemico con lui a causa della legge Bassanini che era appena stata approvata e che io consideravo disastrosa.
Bersani fu paziente e ironico, ma in realtà su quella legge avevo ragione io; si invocava il mito della semplificazione e dell’efficienza, ma il risultato è stato la nomina di dirigenti scelti dai politici, l’eliminazione del controllo sugli atti degli enti locali, la liberalizzazione degli oneri di urbanizzazione che ha creato un danno alle casse comunali e al paesaggio. Non era solo una legge sbagliata, era l’emblema della mancanza di una vera forza riformatrice e si è consentito l’emergere di tanta zavorra che alla fine ha fatto affondare la barca del centrosinistra
Ho rivisto Bersani a un’assemblea nazionale del PD qualche anno fa. Già si capiva che il partito di Veltroni era un partito di notabili votato alla gestione del potere; Bersani si distingueva tra i vari dirigenti di allora per buon senso e concretezza, ma era isolato. In quell’occasione Veltroni si dimise ed eleggemmo Franceschini; Bersani venne in platea tra noi peones e disse che aveva intenzione di candidarsi a segretario, perchè sentiva il bisogno di un partito popolare. Lo ascoltai con piacere ma ebbi un cattivo presentimento e pensai che quel partito non era riformabile.


