Il populismo democratico e la rinascita della sinistra

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 26 marzo 2018

Renzi rivendica come giusta la linea dell’Aventino nella elezione dei Presidenti di Camera e Senato. Ha motivato questa scelta di marginalizzazione dicendo che si trattava di rispettare la volontà popolare. Quale volontà popolare, nel caso? Quella che ha comunque assegnato al PD la palma di secondo partito? Quale volontà, quando il sistema è sostanzialmente proporzionale e chiede un attivismo parlamentare? Che vuol dire, che gli elettori PD avrebbero chiesto al PD stesso di non toccare palla, di starsene in panchina, di limitarsi a guardare la partita pure avendo indosso la divisa da calcio e gli scarpini? Tra i danni della Seconda Repubblica, c’è anche quello di far credere che il Parlamento sia solo un cortocircuito tra urne ed esecutivo, e nulla più. E che vi sia un ‘mandato’ popolare diretto, e tutti i parlamentari siano solo dei figuranti, con una specie di mandato diretto a marionette eterodirette. Questa spinta a marginalizzare il PD, questa idea che ‘ora tocchi a loro’ (a loro chi: a 5stelle, alla Lega, a entrambi?) deriva da un’idea della politica delle vie brevi, anzi brevissime, quasi vie di fatto. Una politica impoverita nell’intelligenza, sospinta verso la ragioneria dei voti e adattata al mero computo delle somme e delle differenze.

L’altro male della Seconda Repubblica e del maggioritario è nel ritenere che la politica sia ‘vincere’, e che la ‘forza’ non sia nulla se non è vincente. Quell’idea stupida secondo cui la domenica sera si dovrebbe sapere già il vincitore, è figlia di questo tempo della miseria, che crede che la politica finisca con la compagna elettorale, e poi sia solo la ratifica delle urne, oppure il cosiddetto ‘inciucio’. Così che se l’elettorato ti consegna una forza non vincente, questa deve andare in freezer, per rispettare la presunta volontà del popolo, come dice Renzi, il più antipolitico e populista di tutti. Di chi è figlio, dunque, il populismo italiano, sia di destra sia di sinistra? Della rabbia legata al disagio sociale, della critica della politica, di masse sempre meno rappresentate, di un rigurgito fascista e razziale? Certo, nei contenuti, ma nella forma il populismo italiano è tutto nelle scelte degli ultimi decenni: maggioritario, personalismo, antiparlamentarismo, fine dei partiti e del loro sistema, crisi radicale della democrazia rappresentativa. Dietro l’idea che la forza politica sia nulla se non è vincente, dietro la stupida convinzione che la politica si compone solo di urne e comunicazione mediale e social, c’è il segreto dello stallo attuale. Ci sono le condizioni della folgorante ascesa renziana, del berlusconismo prima e dell’antipolitica attuale.

Il PD passerà il futuro prossimo a desiderare un governo Lega-M5stelle, ritenendo che questo sia lo spartiacque per la rivincita futura e per il nuovo giro di carte, stavolta vincente. E mentre si macererà in un insulso dibattito interno (dove si proporranno uomini nuovi e non un percorso congressuale vero), l’eventuale governo di centrodestra ci farà a pezzi, modificando la legge elettorale alla bisogna. L’assenza di politica ha prodotto una nuova classe dirigente democratica incapace di muoversi in Parlamento, incapace di immaginare uno spazio attivo, operoso tra un’elezione e la successiva. Sono dirigenti costretti nella camicia di forza del leaderismo, colpiti dalla patologia dei ‘vincenti per forza’, travolti dall’idea che o ci si muove sul piano del governo oppure niente. Una classe dirigente che non sperimenta l’intelligenza politica, la mediazione, il gioco parlamentare, il confronto ma solo i rigidi schemi mediali, e che risulta perciò imbalsamata.

Mentre il PD è incapace di pensarsi nel gioco politico effettivo, Renzi è pronto invece a spiccare il volo con una nuova squadra ‘vincente’ sulle macerie del partito. Tenterà la sintesi estrema della filosofia di questi anni (leaderismo, personalismo, populismo democratico) in un nuovo spazio macroniano. Ci sarà prima un doppio tesseramento, poi una Leopolda scissionista, poi un doppio binario politico, poi scatterà il ‘nuovo’ movimento. E allora sarà davvero la fine, ingenerando ancor più la necessità che la sinistra ‘ricominci’ dai fondamenti, non solo da un’analisi della sconfitta: democrazia rappresentativa, sistema dei partiti, partecipazione organizzata, sistema proporzionale, ricostituzione di un’opinione pubblica, rappresentanza sociale, dialogo, intelligenza, memoria, coraggio e innovazione politico-culturale. Ecco i termini del problema. Senza questa roba la sinistra italiana nemmeno esiste, immaginate se possa addirittura rinascere.

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