Il Popolo, le Masse, lo Stato e la gente

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 7 aprile 2018

Stamane svolazzo come un drone oltre le sbarre della mia prigione. Ho davanti agli occhi la foto di cui mi ha fatto dono l’amico Oriano Zanarini, grande fotografo d’epoca. C’è mio padre, in basso a destra, semplice e ben vestito, come sempre, alla metà dei suoi sessanta, più giovane di me che adesso lo guardo, sulla Piazza Maggiore, sotto il palco dove Zangheri sta commemorando la strage della stazione, se non il 6 Agosto dell’ottanta qualche ricorrenza molto prossima. L’ordine scenografico mette in risalto la selva degli stendardi dei comuni, delle istituzioni, e i labari delle potenze associative, a contorno di chi officia, il medium sopraelevato che tutti rappresenta, depositario nella situazione del carisma di ufficio, mentre davanti, in basso si spiana, in tutta la sua immensa magnitudine la ‘massa’. Entità numerica e soggettiva, mescolanza indistinta di popolo, ordini, partiti, gente. Le cronache riportano che in quei giorni non ci si riusciva a muovere nelle piazze circostanti Piazza Maggiore e nelle strade che le collegano. Via Rizzoli era stracolma fino alle Due torri, via Indipendenza piena fino all’incrocio con via Irnerio.

La rappresentazione esplicita plasticamente l’unità di popolo e istituzioni, rappresentati e rappresentanze, una delega, cioè l’esistenza di un legame fiduciario. Più esattamente la ‘fiducia verticale’, dal basso all’alto,e viceversa, che però si regge sulla ‘fiducia orizzontale’, giacchè in quella massa le persone confluiscono nella formazione in quanto si fidano le une delle altre. Così facendo corpo comune, per quanto distinto in parti. Secondo la provenienza, politica e sociale. Una forma peculiare di transustanziazione politica. La massa riconosce le istituzioni come proprie, perciò le difende, mentre si fa guidare. I partiti, il partito, come intermediari. Questa formazione politica di massa, sovente rituale e funeraria, a sfondo tragico, fu caratteristica nel paese dalla metà dei settanta alla metà del decennio che segue, quando si levò a fronteggiare lo stragismo nero e l’attacco allo stato del brigatismo. Con una singolare conversione, passando da Milano a Bologna, transitando per Brescia. Che lo Stato passa dallo condizione ostile a quella infida, ancor più pericolosa, e proprio per questo viene scelto come il campo dove far valere la propria forza. Redimendolo dalle imperfezioni e dai limiti di classe. In questo senso quelle masse stanno ‘facendosi Stato’, Moltitudini con al centro la classe operaia e con in testa il partito. L’essenza della strategia del Pci dalla svolta di Salerno in poi, e che in quegli anni si compie. Dando concretezza alle intuizioni dei quaderni gramsciani sull’egemonia. Le masse che si fanno stato, il partito egemone come guida della nazione. La democrazia come forma politica ‘organizzata’. La via italiana al socialismo.

Togliere e sollevare, l’aufhebung, la sintesi dialettica che risolve l’antitesi. Ma Bologna fu anche il teatro di un’altra formazione di massa. Decisamente antitetica e apertamente contraddittoria. Di fronte alla formazione di massa che si accinge all’ultimo tratto della sua lunga marcia, si contrappone nella seconda metà dei settanta una peculiare formazione giovanile di massa. Anch’essa intenta alla sua aufhebung: la massa che si erge contro la formazione popolo-classe-partito e che ambisce a negarsi/realizzarsi non più nello Stato bensì negli individui desideranti. E mentre la formazione classica del movimento operaio fallisce, questa massa, partita come minoritaria, magma anarcoide e disordinato, carnevalizio e ai limiti del banditismo, e perciò destinata ad essere schiacciata secondo il canone, paradossalmente ottiene il suo scopo. Consegnando cruciali elementi di egemonia al rinascente turbo-capitalismo globale.

A partire dagli ’80, emblematicamente dopo i funerali di Berlinguer, suprema configurazione politico-funeraria che si realizza romanticamente come grandiosa identità della ‘causa persa’, si apre la fase del declino delle formazioni di massa. Che menano una vita episodica e vieppiù stentata, malgrado rapsodiche inpennate. Comunque non più guidate dal partito, ma, non a caso, dal sindacato, che ne surroga il vuoto, surrogando nel contempo con la politica simbolica anche il depotenziamento contrattuale della sua base storica. I tre milioni del Circo Massimo furono un’anomalia ‘popolare’ (giacchè la classe già era receduta da tempo sullo sfondo, magari a pascolare sui campi leghisti) destinata a evaporare, come ben si vide nella triste replica dell’Ottobre 2014, quando al richiamo dell’articolo 18 si radunò una vasta, quanto teneramente impotente, folla di reduci.

Proprio ieri Asor Rosa, il cui forte pensiero potei saggiare da presso all’epoca di ‘Laboratorio politico’ (anch’esso un canto del cigno), si è soffermato sul tema della ‘massa’. Con grave fraintendimento semantico e concettuale. Egli legge la fase contemporanea come lo sfaldamento del ‘popolo’ (che pure a suo tempo aveva criticato in ‘Scrittori e popolo’ come una travisamento della purezza di classe) nella ‘massa’, mero e amorfo aggregato di individui somiglianti. Sembra eccheggiare Le Bon e altri elitisti, quasi a incarnare un liberale aristocratico-conservatore del tardo ottocento. Mentre invece la lettura corretta è un’altra. Il ‘popolo’ è una creazione del processo di formazione dello stato nazionale, quando le ‘genti’ e le stirpi tribale escono dalle processioni e dal sonno delle consuetudini locali-comunitarie. Nella storia del socialismo il popolo sono le masse che si fanno Stato, lottando per l’emancipazione sociale (cioè la cittadinanza sociale, compimento necessario di quella civile-politica). La massa è una formazione sociale che si forma per metanoia politica (una transustanziazione collettiva degli individui con esiti duraturi per quanto ricca di elementi spontanei) e che reca impressa, come tratto innato, la giustizia. Tal quale ne apprezzò l’esistenza, facendosene coinvolgere, Elias Canetti nella Vienna rossa celebrata nel ‘Frutto del fuoco’ e poi analizzò sino al minimo dettaglio in ‘Masse und Macth’). Fra questo tipo di ‘massa’ e ile forme politiche assunte ad ogni latitudine dal movimento operaio c’è una identità sostanziale. Quando i socialisti andavano ‘incontro’ alle masse (una formula retorica tratta dai populisti della Russia zarista) essi non intendevano fare del basismo generico, ma definire la propria vocazione e cogliere il proprio destino, essendo essi un tutt’uno con le masse. Ed essendo il socialismo, in quanto ‘movimento’. null’altro che una processione di massa.

Oggi ciò che si constata non è la regressione dal popolo alla massa (sarebbe semmai un innalzamento) ma l’evaporazione delle masse e l’intera saturazione dello spazio da esse occupato dalla ‘gente’. Neppure l’insieme delle gens minores, pre-popolari, ovvero legate all’orografia e alle derivate forme produttive (le genti di mare, di pianura, di montagna ecc.) attualizzate nella forma urbana. Bensì, più propraimente, secondo il significato arcaico conferito ai ‘gentili’: i barbari e i pagani posti al di fuori della religione del libro. Ora messi al centro della scena dal grande marionettista del libero mercato. La gentizzazione come surrogato ed esorcismo delle ‘masse’. Come si vede, se non andando in giro nei centri commerciali, nella meccanica replicazione delle aggregazioni orgasmiche chiamate dagli ‘eventi’ (sportivi, musicali, fieristici e sinanche religiosi). Metanoie eteroguidate, situazionali, replicabili all’infinito. E in questo effettivamente prive di durata. Folle senza partito. I partiti essendo null’altro che schede di votanti accatastate nelle urne. Masse di schede. Peraltro volubili. Mentre ciò che residua delle masse è piuttosto perso nell’astensione, dato se non sociologicamente vero, quantomeno verosimile, se non altro per default logico.

La sconfitta storica dei socialisti sta tutta qui: nell’aver subito lo sbriciolamento delle masse che avevano per le mani essendo poi costretti a inseguire la ‘gente’, deteriorandosi èproprio nel voler a forza andare incontro a qualcosa. Alla quale gente però, per definizione, di loro non interessa un cazzo.

Dulcis in fundo ascolto questa canzone che ogni tanto circola alla radio il cui refrain fa: “E allora avanti o popolo/ che spera in un miracolo/ elaboriamo il lutto/ dimentichiamo tutto/ con un Amen”….desolatamente geniale nell’interpretare lo zeit un geist che passa il convento….

 

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.