di Alfredo Morganti – 5 giugno 2018
Ho atteso un po’ prima di scrivere qualcosa sulla brutta vicenda di Soumayla, ucciso come un cane mentre aiutava un suo connazionale a prendere due lamiere da una fabbrica dismessa, abbandonata dai proprietari e sotto sequestro da dieci anni. Gli servivano per costruirsi la baracca, non intendeva di certo avviare una speculazione edilizia. Non è rubare, quello, è tentare di sopravvivere. Ho atteso un po’, perché volevo vedere che cosa avrebbe detto il governo sulla vicenda. Nulla di nulla, ecco il punto, non ha detto nulla di nulla. Semmai ha rassicurato sull’opposto. Ma anche molti altri non hanno detto nulla, nemmeno la sinistra si è scalmanata granché. Avevano altro da fare. Si accapigliavano tra loro, forse, tuonavano contro la Merkel, e chissà con chi ce l’avevano stavolta per le sconfitte patite in questi anni. Fatto sta che pochi hanno elevato alti lai, dinanzi a una morte raccapricciante per il modo in cui è avvenuta, per chi ha colpito, per cosa ha significato, per il modo impietoso in cui è stata accolta.
Skytg24, nell’ultim’ora, quando ha riferito dell’uccisione di Soumayla, ha subito voluto rassicurare gli italiani preoccupati dell’invasione di migranti e pronti a sostenere Salvini nella sua crociata: è stata solo una sparatoria causata da un furto, tranquilli, niente razzismo, il razzismo se lo inventa la sinistra. Non era vero, e non si capisce quale sia stata la fonte della notizia. Forse gli abitanti del luogo, quelli che il 4 marzo hanno votato (a Gioia Tauro) per il 13% Lega, gli stessi che sostengono di essere poveri, invasi dagli africani, ma che a raccogliere frutta e pomodori in condizione di schiavitù ci mandano dei disgraziati venuti dal Mali o chissà dove. È questa la tragedia italiana: le condizioni di schiavitù accanto alla disoccupazione, alla criminalità, all’assenza della sinistra, e al voto alla Lega Nord (e alla destra) dove meno te lo aspetteresti. Se gli africani se ne vanno, chi glieli raccoglie i pomodori agli ‘imprenditori’ locali, su chi si farebbe leva per racimolare voti, come soffiare sull’incendio della tragedia sociale per specularci un po’?
Soumayla era un sindacalista. Ho pensato a quando la criminalità colpiva i sindacalisti meridionali, facendo le veci degli agrari e dei boss. C’è perfetta continuità tra quelle uccisioni e la morte del lavoratore malese. È la stessa storia di sopraffazione, è la stessa ferocia, è lo stesso odio verso quei lavoratori che oltre al lavoro vogliono pure i diritti. Gente che, prima di arrivare a Gioia Tauro, aveva già affrontato il Mediterraneo, mentre attorno si imprecava contro i flussi, l’invasione, la sovranità offesa, il sacro diritto di difendere i confini. A destra come a sinistra. Anche se erano in molti a sperare che quelli ce la facessero, perché servivano braccia, fatica, sudore, schiavi. E pure se li definiscono ladri, spacciatori, criminali, devianti, in realtà tutti guardano le giovani braccia di una forza lavoro a salario minimissimo, pronta a lavorare come bestie e a vivere nell’immondezzaio, almeno sino alla prima pallottola di qualche uomo d’ordine sempre teso a difendere il diritto di proprietà.
Ieri hanno scioperato tutti sulla Piana, sono scesi in lotta, come nella tradizione del movimento operaio ‘bianco’. I campi sono rimasti vuoti e desolati. Non c’era un esercito di riserva là attorno, pronto a subentrare a una paga ancor più bassa di quella offerta ai Malesi. Più bassa di così si muore, letteralmente. C’era solo il clamore della lotta circondato dal silenzio di tanti italiani, i ‘padroni a casa loro’, quelli che dicono: in fondo sono negri, stranieri, che vogliono? Ci rubano il lavoro nei campi e vorrebbero pure sopravvivere se trafugano due lamiere? Sapete allora qual è la tragedia vera della sinistra? Quella di non vedere la saldatura possibile tra gli ultimi di qui, il ceto medio sfibrato dalla crisi, i colletti blu ridotti a subire contratti capestro, i giovani che fanno lavoretti a trent’anni, i lavoratori in affitto e flessibili, e la massa di ultimi tra gli ultimi che rischiano la vita per farci arrivare i pomodori in tavola e chissà quante altre cose. Questa saldatura è ciò che manca, questa unità in nome di una giustizia sociale che è il primo comandamento della sinistra. Un nuovo internazionalismo a partire dal proprio Paese in lutto. Una nuova pietà da un popolo ridotto a sommatoria incoesa di individui avvezzi al consumo e a poc’altro. ‘Pietà l’è morta’ cantavano i partigiani, piangendo “la meglio gioventù/che finisce sottoterra”.


