Tecnica, Nazione e Popolo: il ground zero della politica

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: ilcarteggioaspern
Fonte: ilcarteggioaspern
Url fonte: https://ilcarteggioaspern.wordpress.com/2018/07/23/tecnica-nazione-e-popolo-il-ground-zero-della-politica/

 “Il carteggio Aspern”. blog di Alfredo Morganti – 23 luglio 2018

La Tecnica è pensare l’essere sotto forma di meccanismo. Spogliandolo di conflitti e opinioni, riducendolo al suo mero funzionamento, al suo ‘fare’, alla sua causalità, al suo determinismo, alla sua capacità di produrre ‘la’ soluzione al problema. Soluzione unica, quella più efficace, quella che solamente è in grado di funzionalizzare ogni ingranaggio al Fine organico, superiore alle tante finalità espresse delle singole parti in causa e ai conflitti reciproci. La Tecnica è una forma di organicismo, ma dissimulato, fatto apparire ancora come conflitto ma in realtà impegnato a ‘concentrare’ forze verso qualche bene superiore (la patria, la nazione, la collettività, l’interesse ‘popolare’, i parametri economici), a omogeneizzare, a livellare, a ‘unire’ laddove lo scontro sociale e redistributivo ‘divide’. L’essenza della Tecnica non è tecnica, lo ha detto Heidegger. L’essenza della tecnica è ideologica: simulare e dissimulare. Guai a confondere la tecnologia con la Tecnica: la prima è sempre esistita, è sempre stata un ‘mezzo’ per i ‘fini’ dell’uomo. La novità della seconda sta nello scambiare i mezzi con i fini, concependo i primi, sempre più potenti, come fini a se stessi, adeguandosi alla loro logica, imponendo al pensiero un canone tecnico, limitando il gioco delle opinioni e delle idee, raffreddando lo spazio democratico sino a consumarlo del tutto.

Nel mondo della Tecnica non c’è spazio per pareri, convincimenti, giudizi, non c’è spazio per i frammenti sociali, le linee di demarcazione tra le classi, nulla da concedere ai soggetti politici in lotta, nulla del ‘gioco’ democratico. Anzi, la lotta stessa è controproducente al ‘meccanismo’, lo blocca, lo frena, perché produce interessi settoriali che retroagiscono verso quelli collettivi, comunitari, nazionali: pulviscolo che deve diradarsi per fare spazio all’unica lotta possibile, quella finalizzata alla modificazione del meccanismo generale, nel tentativo di produrre nuovi parametri e soluzioni ‘tecniche’ più favorevoli alla comunità nazionale, che difende, come un unico e compatto organismo, le proprie sacre prerogative economiche e istituzionali. La lotta tra le classi, i conflitti tra i soggetti sociali non appaiono più nella loro ‘naturalità’, non si manifestano direttamente, non compaiono in prima battuta per quel che sono, ma sono mediati dallo stesse meccanismo tecnico, si ‘affidano’ a esso, ne discendono nella forma. In un certo senso lo scontro sociale si ‘delega’ al funzionamento tecnico, lo si deduce da esso. La Tecnica oscura le differenze, le accantona come svianti e controproducenti. La lotta perde ogni autonomia dinanzi alla priorità di battersi tutti assieme alla conquista del ‘meccanismo’ per mutarne la funzionalità e il referente degli effetti.

Una parola esemplifica questo procedimento omogeneizzatore, ed è quella di ‘popolo’. Una categoria che appiattisce e livella, che smussa e rende organico ciò che non lo è (né può esserlo, se non ‘tecnicamente’).  Il ‘popolo’ non ha articolazioni, non deve averle, il popolo è un corpo unico, una falange centro-periferica, che stabilisce col proprio Capo un rapporto speciale, senza mediazioni, senza politica, senza partiti, senza partecipazione ma che è fatto solo di ferrea, immediata ‘adesione’. Un popolo finalmente ‘conquistato’ è la garanzia che la politica possa finalmente scagliarsi contro i nemici del ‘popolo’ stesso: tecnocrati, globalisti, cosmopoliti, burocrazie, plutocrazie, stati canaglie, ‘stranieri’ in genere che minacciano i confini nazionali, la sovranità e infine anche il concetto di Patria. Sempre ammettendo che un ‘popolo’ esista ancora, ovviamente, e non sia invece la caricatura ideologica, mediatica, della solitudine degli individui dinanzi al mercato. Perché il rischio è quello di un popolo senza un popolo: una doppia servitù insomma, una sorta di guscio vuoto, evocato solo ideologicamente e anzi esclusivamente in termini tecnici o categoriali.

Cosa resta della democrazia in tutto ciò? Ben poco. In special modo se per democrazia intendiamo il riconoscimento e la regolazione del conflitto sociale, la rappresentanza politica, le istituzioni parlamentari, la mediazione culturale, il gioco delle ‘opinioni’ in conflitto, la partecipazione organizzata, gli equilibri interni e internazionali. Non solo procedure, insomma, ma un pensiero, uno spirito, un senso. Se tutto discende da meccanismi, procedure, istituzioni politico-economiche, se è solo questione di vertice, se la riorganizzazione delle forze deve avvenire su base nazionale, se la minaccia è ‘globale’, se la sofferenza, il disagio, le contraddizioni dipendono esclusivamente dalle forze ‘cosmopolite’, dalle istituzioni europee, dai consessi mondiali, come un effetto a cascata che non lascia spazio per nulla altro – se questo è, e se c’è allora un meccanismo da smontare, una forza istituzionale da ribaltare nei suoi criteri – se tutto è ‘nazione’ (non humus storico-culturale ma organismo politico puro) ancor prima che classe (o meglio soggetti sociali aggregati e in conflitto), mi dite voi cos’altro resta da fare? Non vi pare una storia già vista, sentita, pericolosa? Non vi pare che la Tecnica sia al suo ultimo stadio, quello in cui i mezzi sono davvero tutto e impongono una logica autonoma, al punto da decidere essi stessi ‘che fare’? In una forma quasi automatica, deduttiva, logica, senza alternative, dove la mia, la vostra opinione non contano nulla, anzi producono solo confusione e chiacchiericcio dannoso all’unica battaglia da combattere, quella per modificare il meccanismo europeo, globalista, che ci fa ‘soffrire’ socialmente, mentre il resto è al più un cicaleccio critico da combattere anche col bullismo mediatico?

Una volta avremmo detto che siamo di fronte a forme esasperate di economicismo, a una riduzione corporativistica della politica, a uno schiacciamento della politica stessa a ponte di comando sconnesso dalla multiformità sociale. Non è un caso che la politica si sia ‘tecnicizzata’, divenendo ancella della comunicazione, aspirando alla stanza dei bottoni, conferendo una delega quasi in bianco ai tecnici e agli economisti, scegliendo il ‘fare’ invece dell’agire. A destra come a sinistra. Al governo come alla opposizione. Non c’è più una connessione sentimentale, perché non c’è più sentimento, ma freddo calcolo tabellare. Advertising. Marketing. Se un sentimento sopravvive, anzi si amplifica, è solo quello dell’odio: contro gli immigrati, contro gli altri Paesi, contro le istituzioni, contro chi critica, contro la dialettica democratica, contro le opinioni altrui.  Odio anche personale, spesso anonimamente espresso sui social. Ma una società che genera odio e lo coltiva, prima o poi spinge la crisi della democrazia verso un binario morto. Perché dietro la presunta unità nazionale contro lo straniero che ci ruba il pane, c’è in realtà lo sfacelo sociale, il vuoto ideale, la polverizzazione individuale, il convincimento diffuso che la politica (ossia l’attenzione collettiva, organizzata, istituzionale verso il bene pubblico) sia il male, che serva invece un uomo che parli come mangia, che sia diretto, grezzo, crasso, conquisti il popolo e catturi le sue polsioni ‘periferiche’ per riversarle come un martello contro i nemici globali.

Una possibilità c’è di non cadere nel pozzo, ma prevede un rilancio della democrazia, della rappresentanza, del sistema dei partiti, della partecipazione organizzata, della mediazione culturale, del conflitto sociale regolato, di un senso di ‘umanità’ oggi travolto dalle grida e dall’odio anti immigrati – nella pace, nel dialogo internazionale e non nello scontro, impedendo a tutti i costi che la ‘nazione’ sostituisca la dialettica sociale, e la Tecnica ‘allisci’ tutto e appiani almeno superficialmente ogni grinza, sovrapponendo il concetto di un meccanismo economico all’effettivo fermento politico, sociale e culturale. Un ritorno di movimento e di soggettività politica contro le disuguaglianze e per i diritti, ecco cosa servirebbe. In fondo, il senso della parola ‘sinistra’ è tutto qui.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.