Ribaltare le prospettive mentre c’è il deserto attorno

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 25 luglio 2018

I sondaggi raccontano lo strapotere dei gialloverdi presso l’opinione pubblica. Non significa che si sia già cementato un blocco politico e sociale attorno al governo. Per adesso siamo ancora a livello di impressioni diffuse, giudizi, convincimenti momentanei, ancora segnati da una sorta di luna di miele con gli italiani. Eppure il dato è impressionante: il 62% circa degli italiani sta col governo suddividendosi fifty-fifty tra Lega e 5stelle. Un fatto che dovrebbe indurre a pensare, non solo spingere a ‘fare’. Certo l’autunno sarà caldissimo per il governo, che dovrà affrontare nodi intricati. Intanto però l’esecutivo incamera e fa il ‘deserto’ attorno, come spiegano sia Stefano Folli su Repubblica sia Antonio Polito sul Corsera, che evocano entrambi questa immagine abusata ma efficace: si dice spesso ‘traversata’ nel deserto per indicare un lungo percorso da compiere, necessario alla risalita. Ed è proprio questo che attende la sinistra prima di riemergere dal buco nero in cui si è cacciata.

Un percorso duro e articolato, che non potrà ridursi alla sciocchezza di ‘lasciarli lavorare’, come se un fausto destino dovesse infine riuscire laddove l’insipienza e l’incapacità hanno fallito. Ma nemmeno si tratterà di rimasticare ‘da sinistra’ e quasi cinicamente i temi che 5stelle e Lega hanno sdoganato. Rincorrendo, come sempre si fa, gli altri sui loro passi, ritenendo altresì che si possa fare meglio di loro. Una specie di codismo, che alla fine porta acqua al mulino avversario. Fu così con Berlusconi, di cui si accettò la logica mediatico-personalistica finendo per rafforzarlo. È così oggi con Salvini, di cui si tenta la mimesi, fatta salve le considerazioni umanitarie sull’immigrazione e mettendoci più scienza economica riguardo i temi europei. È il vecchio vizio della sinistra, quello di ritenersi più bravi e più belli degli altri. Nella fattispecie di essere inflessibili sui migranti ma in modo più ‘umano’, e di essere contro i meccanismi europei, ma più bravi nell’analisi economica di fondo e dunque nelle soluzioni da proporre.

Forse dovremmo riprendere la nostra strada, piuttosto che edulcorare quelle altrui. Opporci alla canea montante di cinismo e mero calcolo di interessi. Evitare di svolgere sempre i temi altrui. Osare linguaggi e contenuti alternativi a quelli rimasticati oggi a destra e sinistra. Lavorare a un’agenda del tutto nuova rispetto ai tempi, non rubacchiarla all’avversario per copiargli gli appuntamenti. Se siamo nel deserto e se si tratta di percorrerlo sino in fondo, lo si faccia con il coraggio e con la capacità di ribaltare il guanto. Si lavori sul sentimento di umanità invece di metterlo in premessa. Si vada nelle periferie ma non a conquistare gli impulsi di un ‘popolo’ che non c’è per giocarli su chissà quale tavolo, piuttosto ad articolare la partecipazione democratica e organizzata, facendo il modo che sia il ‘popolo’ a riconquistarsi. Si esca dall’isolamento prodotto da una sconfitta epocale e si costruisca un’alleanza delle sinistre (politiche, sociali, culturali): non per arroccarsi spaccando il capello in quattro, ma per espandersi.

Si lavori alla protezione sociale, dopo anni di precariato e di incertezze anche esistenziali, alla difesa del pubblico dopo l’ubriacatura privatistica, a rafforzare la democrazia dei partiti, del parlamento, della partecipazione organizzata dopo lo sciocchezzaio maggioritario e il leaderismo. E si ridistribuiscano ricchezze e risorse alla collettività, in forma di servizi e di migliore qualità della vita, non consentendo che vadano a ingigantire patrimoni inutilmente immensi. Basterebbe già questo a raddrizzare la nave e ridarle una rotta minima, in vista di obiettivi futuri più avanzati.

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