di Alfredo Morganti – 30 luglio 2018
La teoria è questa. Siccome c’è una ‘rivolta’ populista (ed è un peccato che sia egemonizzata dalla destra!), allora la sinistra deve misurarsi con essa, prendere sul serio le sue ‘ragioni’ senza rimuoverne i temi, perché sono tutti ‘veri’ e ‘fondati’(Europa, ruolo dello Stato, sicurezza e immigrazione).
Mi limito ad osservare che dire le ‘ragioni’ della rivolta, non significa neutralmente dire che essa semplicemente si fondi su problemi reali: i problemi sono dati di fatto, macigni che si incontrano per strada – le ‘ragioni’ invece sono qualcosa in più, sono ‘ragioni’ appunto, sono già sistemazioni politico-intellettuali, e costituiscono un’interpretazione che la destra (che guida la rivolta appunto) offre di quei problemi. Le ragioni sono dunque un’elaborazione dei problemi, offrendone un punto di vista specifico, un’angolatura, una lettura “da prendere sul serio”, e da assumere per se stessa, come punto di partenza (se non di arrivo).
L’uso non fuorviante del termine ‘ragioni’ in questo senso è confermato dalla considerazioni dei “temi” della ‘rivolta’ populista, definiti ‘veri e fondati’. Anche qui, dichiarare la fondatezza di un tema, anzi parlare persino della sua verità non è una presa d’atto, ma è ancora un giudizio, è anche qui una ‘lettura’ specifica del problema stesso, una sua politicizzazione. Assumere questa ‘politicizzazione’ equivale a stabilire una concordanza, un nesso, una sorta di sovrapposizione di quelle ragioni e delle mie, di quelle tematizzazioni e delle mie. Una condivisione, insomma. Il linguaggio è la spia della sostanza detta.


