Il Piano B

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 21 settembre 2018

La neopolitica (di destra, di sinistra ma-anche di nulla) si muove rovesciando l’ordine alfabetico: prima di tutto vengono i Piani B. In che consistono? Nella scappatoia che precede il disastro, e forse lo provoca ancora di più. Prendete il governo gialloverde. Prima che il ciclo del consenso scada, dice Tito su ‘Repubblica’, e in assenza di miracoli finanziari che consentano l’attuazione immediata e coeva di paci fiscali, condoni, quote 100, flat tax, redditi di cittadinanza e chissà cos’altro, meglio rompere il giocattolo e andare alle urne. Può darsi che qualche elettore ancora ti creda se racconti che, a causa di un complotto, non è stato possibile realizzare nemmeno una, dico una, promessa elettorale. Ma se imbocchi il ciclo quando è già nella parabola discendente, anche il Piano B della fuga verso un nuovo cimento elettorale potrebbe rivelarsi inutile, anzi dannosa. Questo è il clima. Certo, si poteva puntare a un altro Piano B, ben più tosto. Quello della uscita nottetempo dall’Unione Europea, per dire. Immaginate la figata: invece di fare a botte con i vincoli di bilancio e i numeretti percentuali, ci si tirava fuori dal gorgo e si proclamava la realizzazione totale a deficit del contratto elettorale. Tutto come in un sogno. Immagino le scene di giubilo e l’immediato busco elettorale.

È la differenza che c’è tra Savona e Tria, tra due Piani B opposti: lo sfondamento europeo da una parte – le ristrettezze di bilancio che provocano la fuga precipitosa verso le urne anticipate, dall’altra. Si può essere d’accordo per l’uno o per l’altro oppure per nessuno, ma il fatto è questo. Ciò che unifica le due soluzioni peraltro discordi è il loro obiettivo: ossia soddisfare l’elettore nei suoi bisogni individuali, con bonus, sgravi, condoni da incassare sull’unghia. Secondo, né più né meno, la logica che Renzi aveva applicato con gli 80 euro e gli sgravi fiscali sul tema del lavoro: denaro pubblico che finisce in mille rivoli verso questo o quello, senza alcun orizzonte sociale o collettivo. Da anni gli immigrati sono la miccia accesa per ottenere flessibilità e sfondamenti percentuali in Europa, con il solo scopo di distribuire mance sulla cui base incassare consenso ‘spicciolo’. Ricchezza pubblica che invece di essere utilizzata come tale, diventa elargizione individuale. E vorrebbero persino farlo in deficit!

A quando un ribaltamento di questo scempio? A quando il Piano A, quello che prevederebbe una visione sociale, il potenziamento della ricchezza pubblica e l’investimento in servizi, lavoro, saperi, formazione e democrazia? Perché la ‘ridistribuzione’ non deve andare dalle casse pubbliche alle tasche individuali! Ma è la leva fiscale che, in senso progressivo, secondo equità e giustizia, conduce a un miglioramento della qualità pubblica della vita. Un miglioramento che poi si riversa di necessità nelle vite individuali di ognuno. Non è il denaro, non è la ricchezza spicciola a dover ‘traboccare’, ma sono le risorse generali che devono diventare servizi e lavoro, coesione e democrazia. Questa è la strada maestra che dovremmo indicare, non l’immediato potenziamento della capacità individuale di consumo, non la soluzione individuale (illusoria) alternativa a quella sociale. Quello che finisce direttamente nei portafogli a detrimento dei servizi sociali e pubblici, ne riesce subito verso i servizi privati e il mercato. È il momento di ribaltare questa logica. Di uscire dalla subalternità e dallo scimmiottamento. La sinistra c’è per questo.

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