di Leonardo Masone 22 settembre 2018
A prima vista, risulta anche divertente l’immagine di Nino Manfredi in Pane e Cioccolato che buca lo schermo con la sua tinta biondo-platino in collisione con la sua pelle scura da “italiano ruba lavoro”. Ci prova ad apparire svizzero, a svestirsi della propria identità per allontanare la povertà da cui proviene, ma poi viene cacciato a calci nel sedere dall’esclusivo “bar per soli svizzeri”. La memoria corta, si sa, è una delle caratteristiche degli italiani.
Fra ila fine dell’800 e l’inizio del ‘900 qualcosa come 4 milioni di italiani emigrarono negli Satti Uniti. Oggi ci sono alcuni Stati, come il Connecticut e il New Jersey, in cui la popolazione di origine italiana è vicina al 20% e “gli italo-americani pesano per il 5,6% sul complesso della popolazione statunitense” (Fonte: Petrelli, 2011). Cifre che si sono ingrossate enormemente nel corso del secolo scorso. Di numeri simili si parla rispettivamente per paesi diversi come Argentina e Australia nella prima metà del ‘900. Poi, il Venezuela o il Canada. L’emigrazione inter-europea che ancora non si ferma, Svizzera, Germania, Belgio, Inghilterra. E poi l’emigrazione interna verso quei posti del nord in cui “ci sta a’ fatica”. Una diaspora che ha colpito e colpisce quasi esclusivamente una parte degli italiani, quelli nati e cresciuti sotto un’immaginaria linea che in passato collegava Gaeta a San Benedetto del Tronto. Senza false illusioni, prima non si stava per niente meglio: stavano bene i nobili borboni e i proprietari benestanti, la stragrande maggioranza delle persone viveva in una povertà nera e profonda, senza via di fuga. Ma dopo che abbiamo cambiato colonizzatore le cose sono andate anche peggio: in poco tempo altro deserto. Un secolo e mezzo di legge del più forte, di clientele, di “sgomitatori seriali”, di mazzette, di casse del Mezzogiorno: il bacio della morte con la delinquenza organizzata, attivisti e giudici ribelli come agnelli sacrificali. Da questo deserto che chiamano Mezzogiorno assolderanno altra manodopera da armare per asserragliarsi ancora di più nel fortino del Potere e per presidiare le strade ormai vuote: cambio di dirigenza, ma tutti leggono lo stesso libro dello stesso padrone sempre più ricco. L’altra parte della barricata langue. Quel poco che rimane vilipeso e manganellato dal braccio ufficiale e dai nuovi topi sdoganati dalla retorica dei nuovi attori, sempre a reti unificate.
Lo sconsolato partito degli onesti, poi, che per difendere ormai la bottega, guarda dall’altra parte a raccontare realtà invisibili: una bottega che non ha più merce da offrire, ma che ancora vuole provare a fare commercio racimolando briciole d’effetto.
Come se le responsabilità di 150 anni di colonialismo interno potessero essere scaricate sui nuovi disperati dal mare, da un altro sud. I Nostri “ruba lavoro” che non c’è mai stato.
I nuovi colonizzatori non sono più piemontesi, ma lombardo-veneti, non si fermano a Teano e sono già sbarcati in Sicilia: hanno il cinismo e la cattiveria di Bixio, senza l’istruzione del feroce Cavour. I gattopardi, “unti di brillantina e i piedi sporchi”, sono pronti a cambiare casacca e salire sul nuovo cavallo. Tesoretti non ce ne sono più, ma loro tirano dritto per racimolare consenso. Tentano una cambio, addirittura, antropologico per far perdere i connotati di umanità di cui era orgoglioso il Sud; unico e ridimensionato tesoretto rimasto, offrendoci il capo espiatorio per assicurarsi altri anni di consenso.
Quando non ci sarà più niente da guardare dall’altra parte, qualcuno, girandosi, si troverà solo il burrone.


