di Alfredo Morganti – 19 ottobre 2018
Chi lo paga il rancore che serpeggia nel ‘popolo’ verso le élite? Le élite stesse? Ma per carità. Questo eccesso di odio, questo plusvalore di risentimento verso chi sembra avere uno status migliore del tuo, alla fine determinerà una reazione, i cui effetti perniciosi li subirà per primo il popolo stesso, o meglio i soggetti che conducono le lotte sociali. Perché ogni lotta, ogni conflitto, ogni battaglia sociale sarà bollata come frutto di risentimento, come frutto di odio, come effetto di una chiassosa invidia. Già oggi leggo che anche il socialismo fu maestro di risentimento, magari un risentimento più ordinato, sistematico, governato dall’ideologia. E presto qualche insospettabile dirà che anche la Resistenza contro il nazifascismo fu ispirata dai maestri del rancore, succeduti a quelli del ‘sospetto’. Scatenare l’astio contro chi ha di più, sa di più, possiede di più è un regalo alle élite politiche, che pure si vorrebbero combattere.
In realtà la lotta sociale, il conflitto non nascono e non possono nascere per risentimento verso qualcuno: il borghese crasso, il professionista col rolex, il professore che sa tutto, i vicini che si possono permettere una vacanze tropicale, i parenti che hanno la casa al mare. Il conflitto deve avvenire sugli interessi sociali, deve avere come obiettivo il miglioramento delle condizioni di vita di intere classi, di ceti, di raggruppamenti solidali. Deve puntare all’accrescimento della ricchezza sociale, non scatenare la vendetta contro l’avversario, soprattutto se è condotto dai più disagiati socialmente. Ed è errato ritenere che alla base vi siano problemi personali, ad esempio il cinismo di alcuni, la cattiveria di altri contro i quali avventarsi. Non saranno mai l’invidia sociale o la rivalsa i motori effettivi di una trasformazione generalizzata o di un cambiamento delle regole del gioco, ma la consapevolezza che assieme si può ben più che da soli. Che assieme si ottengono risultati che valgono per tutti. Che assieme si va oltre il rancore personale per disegnare una strategia e un progetto condivisi.
Il conflitto, paradossalmente, è solidarietà in atto – e non è tale, non è conflitto se si genera da egoismi risentiti, che si affrontano bagnati nell’odio. In quest’ultimo caso, dovremmo chiamarlo piuttosto conservazione dell’esistente. E questo sarebbe.



