Fonte: Il Foglio
Giuliano Ferrara su Matteo Salvini sul Foglio .
Quando c’è una base morale prima ancora che politica, e sei autorizzato a pensare che il tuo avversario ha un interesse di principio al risanamento della piaga e magari visione, e idee, per ottenere il risultato, allora sì, allora è possibile pensare all’unità nazionale. Perfino con un senatore Salvini, perfino con un leader da quattro soldi che annaspa nello stagno dei propri errori e nello specchio dei propri marchiani difetti. In altri casi, quando il tuo avversario gestisce l’opposizione come una clava, da primitivo, con il nervosismo e l’immaturità di un bambino viziato e cattivo, disposto a tutto per stare in palcoscenico, e magari a trasformare la Bce o l’intera Europa in un nuovo mitico “porto chiuso”, è meglio andarci con i piedi di piombo, e fino a prova contraria, vera prova, documentata e irrecusabile, non farne alcunché. Uno che ringrazia Draghi in Senato, per quanto nella solita linguacciuta irresponsabile retorica, per poi virare in meno di 24 ore verso l’uscita dall’Europa, “covo di sciacalli e di serpenti” (che metafore!), cercando di amplificare dolosamente una polemica da bassofondo su morti e mascherine, con il conforto dei suoi lecchini piazzati alla Rai nella stagione del Papeete, uno così è buono per il bando dalla vita civile, lui e i suoi paggetti che si dicono moderati, altro che Union Sacrée.
E’ grottesco che per pigrizia mentale, per scemenza, e per gola, in tanti stiano ancora lì a domandarsi che cosa dirà il senatore Salvini, dove sarà ospitato stasera in quella fogna maleodorante che è l’informazione da sbarco, e che lo si possa considerare un interlocutore quando rimane un modesto comiziante, un demagogo pericoloso, un omarino intimamente truce che se fosse al governo, Dio ne guardi, sarebbe capace di isolare l’Italia in un padiglione speciale, in un lazzaretto di appestati. Quando cerca facile popolarità, spazio mediatico a buon prezzo, quando insegue la suggestione di una leadership ondeggiante, cafona, bugiarda, urlata, deformata dal nichilismo narcisista, tra gli annunci mortuari dell’Eco di Bergamo e la tragedia mondiale potenzialmente “di proporzioni bibliche”, e quando fa le sue flessioni muscolari in calzoncini e canotta, dopo aver invano aspettato di vedere se si potesse attribuire il virus ai negher, questo scampolo di razzismo e di frustrazione autoritaria all’italiana è solo una tremenda vergogna, una sciagura nazionale. Il senatore Salvini è molto al di sotto dei topi vivi di Zaia, che con il suo omologo lombardo ha mostrato i suoi limiti assurdi ma ha anche avuto la modestia e la tenacia, con tanti sindaci e operatori di territorio di diversa estrazione e collocazione amministrativa e politica, per affrontare con un minimo di decenza, infine, una situazione in cui emerge a poco a poco anche l’insieme di illusioni e di errori su cui si fonda il famoso sistema di potere e di governo della Lega al nord. Con gli urlacci di ieri, il senatore ex Truce si è messo da solo nel sacco della sua personalità irrilevante e insieme ingombrante, delle sue ambizioni sbagliate e piccine, del suo spirito di ricatto e di molestia verso un intero popolo chiuso in casa o impegnato al fronte in una guerra dolorosa e difficile alla pandemia.
L’idiota che aveva predicato l’imminenza di un’epidemia di scabbia portata dai poveracci e dai neri, la cui voce si era mescolata con quella dello sparatore di Macerata, e che ora si agita contro Europa e nemici tra i letti di rianimazione e i ventilatori, non è un soggetto politico da unità nazionale, non ha la minima credibilità per affrontare con persone normali questioni infinitamente più grandi e più dolorose di lui e delle sue mattane nevrotiche, è un soggetto pericoloso per le istituzioni, e l’averlo capito resterà, comunque la si pensi del Bisconte churchilliano e degli alacri costruttori del governo attuale, un merito indiscutibile. Avanti così. Meglio l’autocertificazione del bollo untuoso e scabroso di un piccolo caratterista del teatro della miseria politica.